200.000 non violenti... dove li ho già visti...Un altro mondo è.... bleeeargh!

Era di sicuro meglio andare al cinema ma, paccato dall’ennesima fanciulla, domenica sera non mi è restato di meglio che sistemarmi sul divano ad aspettare Un altro mondo è possibile, il Documentario Finale sui giorni di Genova, firmato da praticamente tutti i registi italiani (per evitare polemiche quelli che non c’erano sono comunque stati inseriti nei titoli di coda).

Non dico che mi aspettassi un capolavoro, dico che lo esigevo. Una trentina di registi a spasso per Genova con equipaggiamento professionale. Erano presenti a tutte le manifestazioni, hanno intervistato tutti i protagonisti. Due di loro sono arrivati persino davanti alla Diaz, con la loro brava pettorina I registi italiani a Genova: tempestivi e coraggiosi, bravi. Che poi per montare tanto materiale ci siano voluti tre mesi, pazienza: si capisce che c’erano da fare scelte coraggiose, e quando hai 40 minuti a disposizione ogni fotogramma è sacro, no?



Il risultato, beh…

Era di sicuro meglio andare al cinema.



Io posso capire tutto. Vogliamo dare più spazio ai contenuti? Benissimo. Mettete mezz’ora di interviste, io non chiedo di meglio. E invece qui, appena qualcuno prende parola e cerca di dire qualcosa, immediatamente viene sfumato su Manu Chao, o Bob Marley. C’è giusto il tempo per recitare un paio di slogan e poi staccare su un gruppo di ballerini coi bonghi (cheppalle).

E poi, insomma, in tre mesi è mancato il mezzo per aggiungere qualche sottotitolo? Io, povero spettatore domenicale, posso anche riconoscere Mandela a prima vista, ma come faccio a sapere che quella signora con l’aria da maestra distinta è l’economista Susan George, che quel filippino bruttino è l’economista Walden Bello, che quella simapatica vecchietta tracagnotta è il premio Nobel Rigoberta Menchu, che quel simpatico signore che parla come Falcao è il teologo della liberazione Frei Betto (quest’ultimo neanche tradotto, perché si sa, i brasiliani parlano praticamente in genovese)?



Vogliamo mostrare le manifestazioni pacifiche? Ottimo. Non chiedo di meglio. Mostrate la marcia dei migranti di giovedì, le piazze tematiche di venerdì, la folla immensa del sabato: tre momenti ben distinti fra loro. Mostrate come in tre giorni, malgrado la repressione, la gente sia quintuplicata.

Non mescolate tutto assieme come se fosse un immenso carnevale di Rio! Dalle immagini sembra che ci sia un mucchio di gente per strada (che balla coi bonghi) mentre un altro mucchio di gente sta seduto in una piazza davanti alla Zona Rossa. Cosa significa?



(Tutto sempre, rigorosamente sotto il sole. Si vede che alle prime gocce le cineprese professionali vanno in tilt. A Genova ci siamo tutti presi un’acqua tremenda, tre campeggi si sono allagati, giovedì sera la gente non sapeva dove dormire. Torni a casa e scopri che a Genova non hai fatto altro che ballare sotto il sole. Altro che protezioni in plexiglas, la protezione solare, ci voleva).



Non vogliamo insistere sulle violenze della polizia? E allora non mostriamole nemmeno. Ci sono altri documentari (anche no copyright) che documentano tutto a sufficienza, e poi il coraggio uno ce l’ha o non ce l’ha, non lo si può pretendere da tutti.

Ma non mettete qualche pestaggio qua e là, qualche inquadratura di Giuliani, tutto rigorosamente già visto (impossibile identificare un solo poliziotto o carabiniere), e senza audio! Peggio, con l’insulso Philip Glass in sottofondo! Cosa significa? La polizia carica, la gente grida, e voi mettete su Philip Glass? Ma in che set vi credete di essere? Quello è sangue vero, sangue nostro.



La fotografia, ok, è ottima. Ma essere registi cosa significa? Saper usare un equipaggiamento professionale? O saper raccontare storie, anche vere se necessario?

L’immagine finale (Glass a parte), con bandiere e bracci alzati, è molto bella. Ragione in più per incazzarsi. È un vero e proprio lieto fine: ci hanno caricato, ma adesso siamo qua. Certo: ma mentre quelle migliaia di persone sbandieravano in Corso Torino, la polizia ne caricava e disperdeva altrettante in tutta la città. Poi ci sarebbe stata l’irruzione alle Diaz. Poi le torture a Bolzaneto. Buona parte del peggio doveva ancora iniziare.

Non è giusto cercare un lieto fine in Genova, perché non c’è stato. Chi ha partecipato ai pestaggi, chi li ha diretti, è ancora in libertà. C’è poco da emozionarsi per i bonghi e le bandiere rosse.



L'unica speranza è che tutte quelle ore di riprese non vadano perse. Lì c'è, ne sono sicuro, il materiale per una bellissima storia su Genova, quando a qualcuno verrà la voglia (e il coraggio) di raccontarla.

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