Il signore degli anelli a caldo



La prima cosa da dire è che fino a stasera quanto a Tolkien io ero vergine. Ero uno che se gli chiedevi cos'è la Terra di mezzo, ti rispondeva "l'ultimo libro di Luciano Erba" (che, per inciso, è un bravo poeta milanese e il suo libro è di Mondadori). Il motivo per cui io non ho mai letto Tolkien è presto detto: mi stavano pesantemente sulle palle tutti quelli che lo leggevano. Attenzione, non mi stavano antipatici perché lo leggevano. Solo che se c'era qualcuno fra i miei conoscenti con il quale non ci sopportavamo, con il quale ci evitavamo con fastidi alla pelle, dopo un po' lo beccavo a scambiarsi entusiasmi sul Signore degli anelli, sul tale enigma, sul tale mostro ecc. Visto che da ragazzi funziona più l'imitazione degli affini che il fascino del diverso, bastò tanto a tenermi lontano dal libro.

Indugiando ancora nei casi personali, sul piano antropologico il mio disinterresse è doppiamente strano perché nel contempo io ero pure un invasato dei giochi di simulazione (voi direte "di ruolo"), al punto da scriverne uno tutto nostro insieme con i miei vicini di casa (intitolato con modestia "il gioco di simulazione") e iniziare un'avventura durata poi ben 4 anni e poco più, senza interruzioni (anche il nostro si giocava col dado da 10 ma, alla faccia dei fedeli del fantasy, che sono un manipolo fratesco e spesso molto rigido, nel nostro gioco potevano succedere cose come essere il fratello del "game master", avere per alcuni anni la testa trasformata in un marusticano dello spazio o scegliersi la moglie: io avevo preso Jennifer Beals, che poi finì a gestire un bordello ginevrino perché non mi era fedele: potenza dell'immaginazione).



Insomma il film vale tutti i suoi 7 Euro e un po'. Niente di paragonabile al miglior Dragon Ball, si capisce, ma devo dire che era da anni che un film di queste 'dimensioni' non mi piaceva. Senza dubbio il film funziona (a fine proiezione, dopo 178 minuti, la sala esaurita, un 300 persone, sbotta in coro in un "nooo, non può finire adesso", che di per sé è già un bel finale).

Funziona e non manca di eleganza (non manca neanche di cazzatone ma ci stanno tutte benissimo: per esempio urlano tutti spessissimo e fortissimo e i colpi che ti fanno saltare sulla sedia sono quelli tipici della peggiore tradizione horror (genere che non posso smettere, nenche crescendo, di amare). Anzi, a ripensarci, nella ricerca dell'effetto di magniloquenza che pervade il film, il sonoro ha davvero un'importanza fondamentale. Certi personaggi, i nove re a cavallo per esempio, di fatto sono solo suono che invade la sala.



Venendo ai paragoni, quando si esce si pensa subito che Guerre stellari è una ladrata bella e buona, che anche Excalibur è tutto copiato da qui e altre cose del genere, ma credo che i film con cui paragonare Il signore degli anelli non siano questi. La lotta bene/male è una scusa come un'altra. Il plot è un plot d'avventura puro. Direi precisamente una quete, una ricerca, anche se rovesciata (vogliono distruggere una cosa non trovarla, ma per distruggerla c'è un solo e unico modo, quindi perderla è come trovarla). Come tutte le avventure di ricerca, quindi, anche questa si compone di una serie di stazioni, o di stanze, per riprendere ancora i role play. Senza mettersi a citare Ulisse, come trama a me ha ricordato molto i Guerrieri della notte, avete presente?. I Warriors devono ritornare al loro quartiere, Cony Island, dopo una convention con le altre bande, convocata dai neri al lato opposto di New York. Ogni quartiere che devono oltrepassare nasconde un'insidia, un tranello, un mistero, un nemico strano. Qui è lo stesso.



Uscendo dal racconto, la caratteristica davvero forte del film, lo hanno detto un po' tutti, è l'uso del digitale e del computer. E qui i film di confronto più azzeccati sono Il gladiatore, per le architetturone della Roma imperiale e per le scelte di fotografia, e La mummia, per le scene di massa e per alcune trovate tipo l'onda gigante che prende una forma animale. Beh, non solo rispetto a questi ma anche a tanti altri modelli, stupisce la decenza, non trovo termine migliore, del regista e della produzione. Per quanto sembri impossibile il digitale appare discreto. Diciamo che il solito effetto ghiaccio è inevitabile ma adatto alla circostanza, mentre il cartoonesco non è sfiorato più di quanto non venga sfiorato da un cartone animato. Capite cosa intendo? In questo senso la scelta chiave è, secondo me, quella di non avere inserito, tranne che nello scialbo inizio, scene di combattimento di massa ma solo dei corpo a corpo, che rendono il film (anche se non è vero) simile a un film recitato e non programmato.



Comunque, se il brutto ha qualcosa a che fare con la morte, e se la morte, almeno nelle sue manifestazioni sensoriali, è raffigurabile in un cadavere, allora il digitale del cinema di oggi è una manifestazione straordinaria del brutto contemporaneo. Anche secondo voi?



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