Caro amico ti scrivo
Il primo disco del 2003 che mi ha fatto pensare: “questo a fine anno ce lo troviamo in classifica dappertutto” è stato Give up dei Postal Service (Sub Pop). Si accettano scommesse.
Ben Gibbard, voce dei Death Cab for Cutie, aveva già collaborato con Jimmy Tamborello per la traccia “(This is) The dream of Evan and Chan” contenuta nell’album a firma Dntel Life is full of possibilities (Plug Research, 2001).
La cosa divertente è che i due si erano conosciuti per caso, grazie a Pedro Benito dei Jealous Sound, amico di Gibbard che divideva l’appartamento con Tamborello. Insomma, la solita vita da fuorisede tra Los Angeles e Seattle.
Quella fortuita collaborazione era riuscita così bene e spontanea che i due hanno cominciato a scambiarsi altro materiale per posta (ecco perciò, senza troppo sforzo, il nome).
Mi sembra giusto sottolineare che si spedivano fisicamente cd, e non allegati via posta elettronica. Da qui, un tipo e un ritmo di lavoro che probabilmente ha pochi precedenti: sul paio di tracce che ogni due mesi Tamborello inviava, Gibbard interveniva con un po’ di taglia e cuci, aggiungendo testi, voce e chitarre. Si eliminano del tutto le tensioni che nascono all’interno delle band, i ruoli si dissolvono, scompare lo stress della sala prove.
Forse è anche per questo che “Give up” gode di una atmosfera leggera e di un senso di freschezza anche nelle canzoni meno ballabili e più introspettive. In questa primavera che già si annusa, pezzi come Clark Gable, Brand new colony o il singolo Such great heights suonano semplicemente irresistibili.
Tamborello prende le cose meno melense del suo precedente progetto Figurine e quelle più pop di Dntel per confezionare idee di canzoni che rimandano agli anni Ottanta dei vari Pet Shop Boys e Human League (vi confesso che stavo anche cercando Ping Pong di Plastic Betrand per fare qualche confronto).
Dal canto suo Gibbard mette melodie emotivamente appropriate e una voce impeccabile e smagliante che, per il modo in cui si appoggia pulita sopra la tappezzeria elettronica danzereccia (vedi l’iniziale District sleeps alone tonight), fa venire in mente com’è ovvio i Notwist (anche se con molto più divertimento) e che credo rimandi direttamente ai New Order.
Inoltre, in un paio di felici episodi la voce di Gibbard può contare sul contrappunto femminile di Jenny Lewis (dei Rilo Kiley) e di Ken Wood (dei Tattletale).
Tra i punti deboli dell’album, c’è stato chi come Pitchfork ha segnalato la discutibilità di alcuni testi (soprattutto in confronto a quelli dei Death Cab for Cutie). Ma c’è stato anche chi come Sno-Cone li ha difesi esplicitamene per il loro spiccato carattere “emo” : «There are loads of 14-18 year old indie/emo kids out there who need something to listen to, right?»
Infine, nel cd che ho per le mani sono presenti anche le b-sides del singolo: una semi-natalizia There’s never enough time, e due ottime cover dell’album opera dei compagni di etichetta The Shins (We will become silhouttes diventa uno scanzonato unplugged da cantare in coro) e Iron And Wine (che trasforma Such great heights in una toccante ballata folk).
Ascolto dopo ascolto "Give up" migliora, e dopo due settimane voglio sbilanciarmi: se Postal Service non entrerà nei primi dieci dischi del 2003, vorrà dire che è stato un anno fenomenale per la musica.
Il primo disco del 2003 che mi ha fatto pensare: “questo a fine anno ce lo troviamo in classifica dappertutto” è stato Give up dei Postal Service (Sub Pop). Si accettano scommesse.
Ben Gibbard, voce dei Death Cab for Cutie, aveva già collaborato con Jimmy Tamborello per la traccia “(This is) The dream of Evan and Chan” contenuta nell’album a firma Dntel Life is full of possibilities (Plug Research, 2001).
La cosa divertente è che i due si erano conosciuti per caso, grazie a Pedro Benito dei Jealous Sound, amico di Gibbard che divideva l’appartamento con Tamborello. Insomma, la solita vita da fuorisede tra Los Angeles e Seattle.
Quella fortuita collaborazione era riuscita così bene e spontanea che i due hanno cominciato a scambiarsi altro materiale per posta (ecco perciò, senza troppo sforzo, il nome).
Mi sembra giusto sottolineare che si spedivano fisicamente cd, e non allegati via posta elettronica. Da qui, un tipo e un ritmo di lavoro che probabilmente ha pochi precedenti: sul paio di tracce che ogni due mesi Tamborello inviava, Gibbard interveniva con un po’ di taglia e cuci, aggiungendo testi, voce e chitarre. Si eliminano del tutto le tensioni che nascono all’interno delle band, i ruoli si dissolvono, scompare lo stress della sala prove.
Forse è anche per questo che “Give up” gode di una atmosfera leggera e di un senso di freschezza anche nelle canzoni meno ballabili e più introspettive. In questa primavera che già si annusa, pezzi come Clark Gable, Brand new colony o il singolo Such great heights suonano semplicemente irresistibili.
Tamborello prende le cose meno melense del suo precedente progetto Figurine e quelle più pop di Dntel per confezionare idee di canzoni che rimandano agli anni Ottanta dei vari Pet Shop Boys e Human League (vi confesso che stavo anche cercando Ping Pong di Plastic Betrand per fare qualche confronto).
Dal canto suo Gibbard mette melodie emotivamente appropriate e una voce impeccabile e smagliante che, per il modo in cui si appoggia pulita sopra la tappezzeria elettronica danzereccia (vedi l’iniziale District sleeps alone tonight), fa venire in mente com’è ovvio i Notwist (anche se con molto più divertimento) e che credo rimandi direttamente ai New Order.
Inoltre, in un paio di felici episodi la voce di Gibbard può contare sul contrappunto femminile di Jenny Lewis (dei Rilo Kiley) e di Ken Wood (dei Tattletale).
Tra i punti deboli dell’album, c’è stato chi come Pitchfork ha segnalato la discutibilità di alcuni testi (soprattutto in confronto a quelli dei Death Cab for Cutie). Ma c’è stato anche chi come Sno-Cone li ha difesi esplicitamene per il loro spiccato carattere “emo” : «There are loads of 14-18 year old indie/emo kids out there who need something to listen to, right?»
Infine, nel cd che ho per le mani sono presenti anche le b-sides del singolo: una semi-natalizia There’s never enough time, e due ottime cover dell’album opera dei compagni di etichetta The Shins (We will become silhouttes diventa uno scanzonato unplugged da cantare in coro) e Iron And Wine (che trasforma Such great heights in una toccante ballata folk).
Ascolto dopo ascolto "Give up" migliora, e dopo due settimane voglio sbilanciarmi: se Postal Service non entrerà nei primi dieci dischi del 2003, vorrà dire che è stato un anno fenomenale per la musica.
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