Il dolce domani dopo la tempesta di ghiaccio



Che vi assicuro, alla nostra età diventa sempre più duro arrivare alla seconda serata.

Specie se la prospettiva è l'ennesima pittura a fresco moralista sull'ipocrisia dell'inquieta borghesia americana a qualche luna dal crepuscolo degli anni sessanta (non vi arrabbiate subito, aspettate la fine).



Nonostante la dovizia di resine urea-fenolo-formaldeide o sfumature di marrone e verde sottobosco o certe frangette o tesoro rimembri ancor quel tempo in cui W. Gropius prefabbricava negli States.

La vita vista delusa un po' come l'architettura dopo il Bauhaus.



Che a voler essere meno spocchiosi nel film di Ang Lee (Tempesta di ghiaccio, 1997) queste cose sono un vero e proprio sballo, per non dire che nel suo genere (che a noi, votate alla depressione e propense alla lagrima, sotto sotto, piace un sacco) spacca.



Fino al grandioso finale ti avvilisce senza posa, in maniera compulsiva, per non dire che ti congela, (non si capisce subito ma è) con quelle stesse meschine cose di cui racconta, sporche di terreno e di consumo, con l'enfasi quasi abbacinante di una fotografia perfetta (gli alberi spogli la neve i contorni netti della casa della Weaver i tavoli di vetro le poltrone di pelle) nonchè scrittura asciutta con tutti i silenzi giusti e agonizzanti.



Ma il corpo di Mikey che cade (ehm, rumore bianco che anche nel Dolce domani) sordo sulla lastra di ghiaccio e lì scivola per qualche secondo e la voce sfuma tra i rami fa del film (ma è solo quello che pensavo ieri notte) qualcosa di straordinario.



In quel punto, e proprio lì, sembra avvenire un ribaltamento triplo e carpiato a volo d'angelo, per cui il film si autocensura incenerendo irreversibilmente il rischioso moralismo fino a quel punto (ma era giusto un'invettiva).



La casualità (è tutto lì, non c'è senso di predestinazione, quel 'ciò che più segretamente temi accade sempre') del filo di luce e della lastra durante la tempesta zittiscono in un istante tutti i drammi personali che fino all'istante precedente si erano imposti come unica verità (sul dolore e l'assenza).



E lo capisci per suggestione: ciò che prima della caduta di Mikey avviliva subito annichilisce.

Così, la storia all'improvviso trascende, e realizzi che si sta parlando della vita e non, come prima credevi, semplicemente (per quanto semplice possa essere), di uno stile di vita.



E non fatevi ingannare dal cast, cui peraltro si avverte la mancanza (non ci pensavate?), curiosamente, di Julienne Moore (quella sottile di Safe).

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