Parte IV: il vero e unico canto di Natale



Il vangelo (Lc, 1, 39-48) è quello che finisce col Magnificat, in cui Maria va alla montagna per far visita a sua cugina Elisabetta che era sterile ma ora porta Giovannino nel grembo. In due quadri di Leonardo (no, non quello), Giovanni da capretto diventa San Giovannino (deve averci speso qualche parola anche Freud) e poi in un terzo, grazie alla dieta di locuste e miele nel deserto, un ragazzo fichissimo coi ricci e lo sguardo di bacco. A pensare a detta iconografia, per distrarmi durante l’omelia, mi è sovvenuto che nei primi due quadri c’è Sant’Anna che è la mamma di Maria (il fatto, seppure intuibile di certo non è immediato), personaggio di nicchia nei vangeli, che gode di grande notorietà negli apocrifi. Ciò detto, strette le mani inanellate delle vicine e lasciatami benedire, sono corsa a casa (senza soffermarmi ulteriormente al mercatino dell’antiquariato), con l’urgenza felice di ascoltare La Buona Novella (1970), che io possiedo qui solo su cassetta, registrata da vinile (quello oro), coi frusci e gli schiocchi di serpi e di merli che conseguono.



Sbiadì l'immagine, stinse il colore, ma l'eco lontana di brevi parole, ripeteva d'un angelo la strana preghiera, dove forse era sogno ma sonno non era - lo chiameranno figlio di Dio - parole confuse nella mia mente, svanite in un sogno, ma impresse nel ventre.





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