Musica per invasioni sexy
Salve, sono Emily Haines. Forse vi ricorderete di me per canzoni come Anthem for a 17 year old girl dei Broken Social Scene. Sì, la deliziosa voce femminile che invitava a “park that car / drop that phone / sleep on the floor / dream about me right now” era proprio la mia.
Se ancora non riuscite a convincervi che il nuovo album dei Blonde Redhead sia il capolavoro che tutti dicono, smettetela di sentirvi in colpa. Provate con Old word underground, where are you now? il disco che il mio gruppo, i Metric, ha fatto uscire alla fine dell’anno scorso, e che pare riesca a mettere d’accordo tutti (pur non andando oltre la media del sette): da quelli che tirano in mezzo “la dance punk più accessibile”, a quelli che citano i Cardigans, alla redazione di Indiepop.it.
A quest’ultima vi rimando per una recensione più ragionata. Qui (dove mi sento un po’ a casa: lo sapete che una nostra canzone è stata usata per uno spot della Polaroid?) vi consiglio soltanto di dare un’occhiata ai miei testi. Si vede che mi sono impegnata a sbarazzarmi di troppi stereotipi indie maschilisti (nonostante dal vivo sia abbastanza hot). Senza dubbio, grazie anche al mio babbo Paul, vagabondo poeta avant-garde nei Sixties.
Sono convinta che certe canzoni “per invasioni sexy” meriterebbero di essere inserite come appendice a un bignami del 2003, sospeso tra guerre, politica televisiva e momenti di riflusso del Movimento.
Ma posso anche disimpegnarmi bene su Costume & Società: The List è un’acuta satira, in cui riesco pure a infilare due versi come “Yeah yeah yeah / broken accidental stars”, che celano i nomi di almeno tre quattro gruppi con cui ho condiviso scuole e appartamenti.
E infine mi permetto di consigliare ai fustigatori dei “gruppi giovani che fanno musica vecchia” un gradevolissimo ballabile come Dead Disco. Vi già detto che “people should recycle more plastic and less culture”?
Salve, sono Emily Haines. Forse vi ricorderete di me per canzoni come Anthem for a 17 year old girl dei Broken Social Scene. Sì, la deliziosa voce femminile che invitava a “park that car / drop that phone / sleep on the floor / dream about me right now” era proprio la mia.
Se ancora non riuscite a convincervi che il nuovo album dei Blonde Redhead sia il capolavoro che tutti dicono, smettetela di sentirvi in colpa. Provate con Old word underground, where are you now? il disco che il mio gruppo, i Metric, ha fatto uscire alla fine dell’anno scorso, e che pare riesca a mettere d’accordo tutti (pur non andando oltre la media del sette): da quelli che tirano in mezzo “la dance punk più accessibile”, a quelli che citano i Cardigans, alla redazione di Indiepop.it.
A quest’ultima vi rimando per una recensione più ragionata. Qui (dove mi sento un po’ a casa: lo sapete che una nostra canzone è stata usata per uno spot della Polaroid?) vi consiglio soltanto di dare un’occhiata ai miei testi. Si vede che mi sono impegnata a sbarazzarmi di troppi stereotipi indie maschilisti (nonostante dal vivo sia abbastanza hot). Senza dubbio, grazie anche al mio babbo Paul, vagabondo poeta avant-garde nei Sixties.
Sono convinta che certe canzoni “per invasioni sexy” meriterebbero di essere inserite come appendice a un bignami del 2003, sospeso tra guerre, politica televisiva e momenti di riflusso del Movimento.
Ma posso anche disimpegnarmi bene su Costume & Società: The List è un’acuta satira, in cui riesco pure a infilare due versi come “Yeah yeah yeah / broken accidental stars”, che celano i nomi di almeno tre quattro gruppi con cui ho condiviso scuole e appartamenti.
E infine mi permetto di consigliare ai fustigatori dei “gruppi giovani che fanno musica vecchia” un gradevolissimo ballabile come Dead Disco. Vi già detto che “people should recycle more plastic and less culture”?
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