Melinda & me



Quando esci dal cinema dopo aver visto un film di Woody Allen hai diritto a un bonus di circa quindici minuti in cui ogni cosa che dici sembra pronunciata al tavolo di un ristorante di Manhattan, mentre tutti reggono calici di vino e discutono degli ultimi lavori che stanno scrivendo per il teatro.

Ieri sera, per esempio, infilandosi il cappotto La Laura ha affermato che in realtà l'unico motivo che Allen aveva per fare questo film era mettere in bocca a Chloe Sevigny la notevole battuta "ho avuto un solo uomo in vita mia".

Io me la sono cavata gigioneggiando l'imitazione della scena della discoteca in Provaci ancora Sam lungo tutta Via Nosadella.

Credo di aver detto anche qualcosa di smodatamente brillante, ma me lo sono dimenticato subito dopo.



Aveva forse a che fare con l'immagine di tutti noi che anno dopo anno torniamo a vedere i suoi film e usciamo con la stessa espressione sulla faccia e diciamo le stesse cose più o meno simpatiche, e tutto sommato siamo contenti così.

È una specie di transumanza culturale.



Sono giunto alla conclusione che per me contano solo due film nella carriera di Woody Allen: Io e Annie e Harry a pezzi.

Nel primo c'è tutto quello che Allen sa dire magnificamente. Il secondo invece mostra come funziona quello che dice. I due livelli sono di frequente confusi e ricombinati.



Ieri sera, mentre l'Upper East Side svaniva in trasparenza contro Piazza Santo Stefano, mi è venuto in mente che verso i film di Woody Allen provo ormai quello che Allen dice di provare nei confronti delle donne in quella celebre battuta alla fine di Io e Annie.

Guardandoli e tornando a guardarli mi rendo contro che non sono molto maturato negli ultimi quindici anni (livello Io e Annnie), eppure non voglio farne a meno proprio perché intuisco come e perché mi piacciono (livello Harry a pezzi).

E alla fine, resta la macchina da presa ferma dentro il bar, sul luogo di quell'ultimo incontro, mentre fuori loro si salutano per strada e vanno via.

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