"The modest mouse-coloured people, who believe genuinely that they dislike to hear their own praises"
Questa non è una recensione del concerto dei Modest Mouse all'Estragon di Bologna. Altri più capaci provvederanno. Questa non è nemmeno una recensione dei miei primi trentadue anni di vita, dal giorno numero uno al giorno in cui ho visto Johnny Marr dal vivo. Anche se il punto a cui mi piacerebbe arrivare è quello. Ma sento che qualcosa continua a sfuggirmi.
Sono rimasto a fissare per tutta la sera il lato sinistro del palco. Ammetto pubblicamente che, dalla parte opposta, Isaac Brock e il suo talento da boscaiolo serial killer non hanno esercitato troppo fascino su di me. Gli occhioni spiritati e psicotici mi fanno più paura se scappano a un Calvin Johnson che imbraccia una chitarra acustica, o se sono quello che rimane nello sguardo liquefatto di Mark E. Smith, quando nessuno lo sta più a sentire. Ma quando puoi permetterti quella potenza di fuoco e le luci sparate così sul pubblico, non so, ieri sera non ero troppo convinto, forse mi aspettavo un altro humour (problema soltanto mio: la sala abbastanza riempita godeva e saltava).
Ma lì accanto c'è Johnny Marr. Quarantatré anni, magro, mai un gesto fuori posto, inglese. Per le prime tre canzoni indossa una giacchetta grigia che mi fa ricordare l'anziano Nikki Sudden. La stessa docilità con cui scivola la chitarra sui fianchi, la stessa capigliatura irrimediabile, la mano che segue una sua armonia di movimento, più lenta della musica.
Johnny Marr fa i cori, fa gli accordi e gli assoli, gli cambiano lo strumento tre o quattro volte, non si dà pace un momento, e la piega delle sue labbra rimane sempre la stessa, così all'ingiù. Solo dopo Dashboard si scompone un po'. Resta più rocker, in jeans attillatti e t-shirt rossa sudata.
Intorno c'è una folla a pugni alzati, stanno sudando e cantando. I Modest Mouse possono saturare ogni metro cubo d'aria con il loro suono pestato e trionfale, possono rallentare ed essere più taglienti, possono assomigliare a una predica dal pulpito in fiamme e a una macchina che fa un testacoda. Ma io continuo a fissare Johnny Marr che si piega tranquillo sulle ginocchia, tende il collo verso il manico della chitarra, si volta verso i suoi compari, lascia le sue mani muoversi al buio e guarda dove stanno andando questi americani.
Mi domando cosa mi dica quella figura di uomo adulto lì sul palco, più di quanto abbia potuto dirmi Morrissey, quel paio di volte che l'ho visto con un groppo in gola. Mi domando cosa bisogna pensare quando ci si trova di fronte a qualcuno che, tanto per non spiegare nulla, ti ha cambiato la vita. Forse niente di speciale. Forse solo un po' di gratitudine, perché ti ricorda l'epoca in cui bastavano le canzoni a cambiarti la vita, e sei contento che a te giovane siano capitati lui e il suo compare con il ciuffo.
Dell'oggi non sapresti. Ti distrai davanti alle luci in mezzo alla gente che balla. Arrivano le percussioni d'apertura di Float On e ti esce un sorriso. Poi Johnny Marr tocca quei quattro accordi, li conoscevi a memoria ma lui li sta facendo diversi, arrotondati, più brillanti, e tu non vorresti mai che entrassero la seconda chitarra e la seconda batteria e che un attimo dopo la canzone partisse. È la sua mano, il suo marchio.
Pare che l'ex chitarrista dei Modest Mouse Dann Gallucci abbia scritto Float On avendo in mente proprio lo stile dell'ex Smiths, e che l'idea di chiamare Marr nei Modest Mouse sia nata così, quando Gallucci se ne era andato un'altra volta.
Pare anche che Johnny Marr oggi si trovi bene nei Modest Mouse, che il suo contributo alla stesura del nuovo album sia stato positivo e che in tour assieme si divertano un sacco. Pare che sorrida paziente quando qualche giornalista ancora gli domanda degli Smiths. Pare che Johnny Marr fuori dal palco sia una persona molto gentile e simpatica.
Tutto bene dunque. Le cose cambiano, ed è proprio così che vanno le cose.
Questa non è una recensione del concerto dei Modest Mouse all'Estragon di Bologna. Altri più capaci provvederanno. Questa non è nemmeno una recensione dei miei primi trentadue anni di vita, dal giorno numero uno al giorno in cui ho visto Johnny Marr dal vivo. Anche se il punto a cui mi piacerebbe arrivare è quello. Ma sento che qualcosa continua a sfuggirmi.
Sono rimasto a fissare per tutta la sera il lato sinistro del palco. Ammetto pubblicamente che, dalla parte opposta, Isaac Brock e il suo talento da boscaiolo serial killer non hanno esercitato troppo fascino su di me. Gli occhioni spiritati e psicotici mi fanno più paura se scappano a un Calvin Johnson che imbraccia una chitarra acustica, o se sono quello che rimane nello sguardo liquefatto di Mark E. Smith, quando nessuno lo sta più a sentire. Ma quando puoi permetterti quella potenza di fuoco e le luci sparate così sul pubblico, non so, ieri sera non ero troppo convinto, forse mi aspettavo un altro humour (problema soltanto mio: la sala abbastanza riempita godeva e saltava).
Ma lì accanto c'è Johnny Marr. Quarantatré anni, magro, mai un gesto fuori posto, inglese. Per le prime tre canzoni indossa una giacchetta grigia che mi fa ricordare l'anziano Nikki Sudden. La stessa docilità con cui scivola la chitarra sui fianchi, la stessa capigliatura irrimediabile, la mano che segue una sua armonia di movimento, più lenta della musica.
Johnny Marr fa i cori, fa gli accordi e gli assoli, gli cambiano lo strumento tre o quattro volte, non si dà pace un momento, e la piega delle sue labbra rimane sempre la stessa, così all'ingiù. Solo dopo Dashboard si scompone un po'. Resta più rocker, in jeans attillatti e t-shirt rossa sudata.
Intorno c'è una folla a pugni alzati, stanno sudando e cantando. I Modest Mouse possono saturare ogni metro cubo d'aria con il loro suono pestato e trionfale, possono rallentare ed essere più taglienti, possono assomigliare a una predica dal pulpito in fiamme e a una macchina che fa un testacoda. Ma io continuo a fissare Johnny Marr che si piega tranquillo sulle ginocchia, tende il collo verso il manico della chitarra, si volta verso i suoi compari, lascia le sue mani muoversi al buio e guarda dove stanno andando questi americani.
Mi domando cosa mi dica quella figura di uomo adulto lì sul palco, più di quanto abbia potuto dirmi Morrissey, quel paio di volte che l'ho visto con un groppo in gola. Mi domando cosa bisogna pensare quando ci si trova di fronte a qualcuno che, tanto per non spiegare nulla, ti ha cambiato la vita. Forse niente di speciale. Forse solo un po' di gratitudine, perché ti ricorda l'epoca in cui bastavano le canzoni a cambiarti la vita, e sei contento che a te giovane siano capitati lui e il suo compare con il ciuffo.
Dell'oggi non sapresti. Ti distrai davanti alle luci in mezzo alla gente che balla. Arrivano le percussioni d'apertura di Float On e ti esce un sorriso. Poi Johnny Marr tocca quei quattro accordi, li conoscevi a memoria ma lui li sta facendo diversi, arrotondati, più brillanti, e tu non vorresti mai che entrassero la seconda chitarra e la seconda batteria e che un attimo dopo la canzone partisse. È la sua mano, il suo marchio.
Pare che l'ex chitarrista dei Modest Mouse Dann Gallucci abbia scritto Float On avendo in mente proprio lo stile dell'ex Smiths, e che l'idea di chiamare Marr nei Modest Mouse sia nata così, quando Gallucci se ne era andato un'altra volta.
Pare anche che Johnny Marr oggi si trovi bene nei Modest Mouse, che il suo contributo alla stesura del nuovo album sia stato positivo e che in tour assieme si divertano un sacco. Pare che sorrida paziente quando qualche giornalista ancora gli domanda degli Smiths. Pare che Johnny Marr fuori dal palco sia una persona molto gentile e simpatica.
Tutto bene dunque. Le cose cambiano, ed è proprio così che vanno le cose.
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