Venerdì scorso ho avuto il piacere di essere invitato all'Università di Milano Bicocca, all'interno di un laboratorio per il corso di laurea in Comunicazione e Psicologia. Il tema del seminario era "Scrivere per il web: il caso del giornalismo musicale", e nonostante non abbia luccicanti slide di powerpoint da embeddare come un blogger serio, mi piace comunque ricopiare qui la piccola traccia che mi ero preparato.
Da qualche domanda scambiata prima e durante l'incontro, il campione di più o meno ventunenni che mi sono trovato davanti non ha blog né twitter (facebook ovviamente sì), non utilizza né conosce strumenti come feed reader, Metacritic o Hype Machine, e non legge abitualmente testate di informazione musicale, né cartacee né online. Magari gli capita di passare su piattaforme come Beatport per tenere d'cchio alcune nuove uscite che poi vanno ad ascoltare su YouTube, oppure cercano tracce su Soundcloud, e in questo caso danno più importanza ai commenti degli altri utenti che alle tag o ad altri criteri di ricerca.
Come avrete immaginato, non proprio il tipo di pubblico medio che mi immagino venga a leggere questa pagina. Ma anche per questo il seminario è stata un'occasione interessante.
Per entrare in argomento, ho deciso di partire da un'idea vecchio stampo e un po' bohémien di giornalista musicale, e ho cominciato con una breve lettura di "Come diventare un critico rock" di Lester Bangs (contenuto in Firmato Lester Bangs" di Jim De Rogatis, Arcana, 2002 - si può trovare il testo originale del 1974 qui).
A quel punto poi mi sono divertito a ritornare bruscamente alla realtà con La musica liberata del nostro Luca Castelli (Arcana, 2009), leggendo qualche paragrafo dal capitolo dedicato al ruolo dei giornalisti oggi, da pagina 211 in avanti. In particolare ho suggerito come lo schema che riassume lo scenario attuale in quattro punti (concorrenza, qualità, interattività, aggiornamento costante) si possa leggere anche come funzionale raccolta di consigli per il lavoro di chi fa comunicazione oggi, anche al di là del campo musicale.
Visto che ero invitato come esemplare della specie dei blogger, ho cercato di illustrare le peculiarità dello strumento e ho accennato alla nostra ormai più che decennale storia e tradizione aiutandomi con il classico Blog generation di Giuseppe Granieri (Laterza, 2005). Un saggio agile ma approfondito che ancora dopo un po' di anni mi sembra utile per capire l'impatto dei blog sul modo di fare informazione. Probabilmente nel frattempo sono usciti testi più aggiornati (suggerimenti?), che quindi tengono conto degli ulteriori sviluppi, ma sono affezionato a questo, con le sue informazioni di prima mano anche riguardo la prima leva di casa nostra.
Temo di avere perso quasi del tutto l'attenzione dei ragazzi quando ho tirato in ballo Retromania di Simon Reynolds (ISBN, 2011) e la serie di articoli sul tema della fine della critica musicale in epoca web "Music Journalism R.I.P?" curata l'anno scorso da Drowned in Sound.
Così ho pensato che il miglior finale, autoironico ma a suo modo saggio e "coi piedi per terra", potesse essere quello del blog satirico-musicale americano Hipster Runoff, il quale all'inizio di quest'anno, parlando incidentalmente del fenomeno Lana Del Rey, ha scritto parole da scolpire nella pietra:
"Cultural criticism on the internet is dying because we finally realized that the voices behind blogs, twitter feeds, and authentic writing outlets are as fat, bored, uninspired, and jealous as the fat, bored, uninspired, and jealous voices that we thought we had escaped from.
I am not a writer. I am not a blogger. I am a content farmer. These words mean more to the Google robot than they do 2 u. There is nothing exciting about writing, tweeting, or sharing opinions. I do not want to inspire any one to follow me into this dark prison, surrounded by a pile of memes, while I must sort thru them and spin them as ‘meaningful’, ‘interesting’, or whatever else will generate a pageview."
Non credo che, almeno per ora, aiuterà quei ragazzi ad avere un po' di consapevolezza in più quando cominceranno a lavorare e a mettere in pratica quello che stanno studiando, ma non si può mai dire cosa passa in realtà dall'altra parte di una cattedra, e qualche stimolo in più non farà certo male.
(Grazie alla professoressa Lalumera per l'invito e a Federico per avermi ricordato la pagina di HRO)
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