Ogni tot mesi Carles di Hipster Runoff pubblica qualche lungo post apocalittico sulle sorti della musica (e le sorti di chi parla di musica) in cui di solito se la prende con la perdita di significato di band e dischi oggi e, in ultima analisi, con il ciclo di vita sempre più breve delle notizie. Un ciclo nel quale comunque HRO è perfettamente inserito, con il suo ruolo di esasperata parodia o satira, anche se ormai un po’ più stanca e prevedibile. Ma a queste tirate ci abbiamo fatto l’abitudine, e così al massimo ci lasciamo scappare un mezzo sorriso cinico alla sua ennesima dichiarazione “questa volta è l’ultima”.
Sarà anche per questo che il suo post di qualche giorno fa, “How Indie finally officially died: the broken indie machine” non ha suscitato particolari discussioni o commenti. Da noi è stato citato su Inkiostro, mentre in giro ho letto un tentativo di risposta di Everett True che mi pare manchi clamorosamente il bersaglio. Eppure il pezzo di HRO, oltre al consueto uso spettacolare di lingua e retorica, è pieno di spunti. Ne metto in sequenza alcuni che mi pare riassumano almeno in parte il filo del discorso:
Here we are in the content farm era where Pitchfork, Rolling Stone, SPIN, HIPSTER RUNOFF [...] all generally post the same stuff. It’s just a matter of creating brand loyalty via aesthetics and the perception of premium content to lemming ass internet users.
[...]
The demand for ‘innovative’ content has formed a buzz bubble. [...] The buzz machine is broken because there is no trusted, fail proof mechanism to create pure buzz.
[...]
The Corrupt Indie Machine has forced us to digest the same meal over and over again for too long. Corrupt Content Farms are so quick to milk the life out of anything new.
[...]
If content farms have ruined the purity of internet content with listicles, contrived SEO-inspired Bleacher Report-wave think pieces, and other lame ass content that is still lucrative and successful, then it is clear that content farms have ruined artists.
[...]
Part of me wonders if the indie blogosphere was just some sort of ‘ultimate online advertising’ beta test, where we just worked to create innovative ways to facilitate sponsored experiences.
Ovviamente si può dare una risposta immediata, quasi candida, a questa analisi, ed è quella formulata da Newprof:
In music, everyone from the lowliest Blogspots to Pitchfork and MTV are spewing out content like a Pittsburgh smokestack in hopes of racking up more hits and ad revenue. [...] Of course, it doesn’t have to be this way. Music bloggers don’t have to accept the catnip offered by publicists. [...] The thrill of music discovery is open to everyone, including to music bloggers: click around some Bandcamp pages! Stumble around SoundCloud! Make 20 minutes a day to listen to baby bands and I guarantee once a week you will find music that will change your life. Interview those bands instead! Carles, if you’re getting bored of regurgitating Lana Del Rey clips, you can stop doing it.
Una frase di Fabrizio suggerisce invece la direzione opposta: "la mostruosa quantità di roba che viene prodotta e diffusa ogni giorno ha ormai portato un certo tipo di approccio musicale esplorativo al suo punto di non ritorno". E questo è verissimo, credo lo abbia sperimentato chiunque abbia o abbia avuto un blog per un po' di tempo. C'è ancora un senso nel mettersi a raccontare qualcosa di un bel disco o di una band appena scoperta quando là fuori ci sono streaming e download, dieci video di ogni minuto di ogni concerto, cento recensioni e altri mille link? Prendiamo ormai tutto dalla Rete, ma alla Rete abbiamo anche lasciato una grossa fetta di quello che abbiamo amato. La fase fanzinara e in un certo senso pionieristica dei blog musicali è ben lontana, e mi pare di notare che anche sullo stanco Facebook la gara ormai sia soltanto a chi posta video più veloce e a chi si fa la migliore pubblicità.
Nel suo post Fabrizio cita i Macchianera Awards (a cui era candidato anche polaroid, e a proposito: grazie di cuore per quella marea di voti! Ci sono un sacco di blog più giovani, attivi e aggiornati di questo, per cui ogni dimostrazione d'affetto come questa mi sembra un regalo ancora più bello).
Ma in quegli stessi giorni erano altri i numeri che ci restituivano un'ampia istantanea della blogosfera che suona in Italia. Li ha raccolti Indie-Eye a partire da una rilevazione Alexa. La prima cosa che mi è venuta in mente scorrendo una classifica del genere è stata proprio: ma dove sono finiti i blog? Superati, in tutti i sensi, dalle "redazioni" delle webzine, strutture di certo più organizzate (e più affidabili) delle paginette su Blogspot, che in fondo replicano le dinamiche della stampa e perpetuano il ciclo dell'informazione-per-accessi. Strutture che possono garantire una massa di pubblicazioni (non necessariamente scrittura) tale da restare a galla nell'onda di aggiornamenti quotidiani, e che in fondo "hanno bisogno" della massa di nuova musica disponibile ogni giorno. Per non parlare di tutti quelli che da qualche anno stanno producendo video di altissima qualità in maniera del tutto indipendente.
Mi torna in mente un'intervista molto bella a Jon Caramanica su Daily Swarm di qualche giorno fa, che riassume così la situazione: "'Commercially available' just isn’t a relevant metric anymore, not in the era of YouTube, DatPiff, SendSpace, and so on. The only thing that matters is: can you hear/see it?".
Caramanica si fa paladino della massima apertura della figura (estetica ma anche tecnica) del critico musicale: "I think younger readers/thinkers are already in that place. Publications can choose to play along or choose to perhaps be decreasingly relevant. Your brand should be an umbrella that can sustain all sorts of experiments". Tutto molto bello, ma in pratica, al di sotto del Critico, l'ecosistema dell'informazione musicale sembra sempre più un caos. Forse aveva davvero ragione Carles.
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