Brothers In Law are going to SXSW!

Brothers In Law - musicraiser


Ma vi ricordate quando l'intero dibattito musicale del Paese si concentrava in una polemica sul crowdfunding? Era appena qualche settimana fa, ma sembra tutto già così lontano e vago. Era un mondo più grigio e misero, senza Spotify, senza Sanremo e senza gli innumerevoli progressi che una polemica sul crowdfunding ha poi portato nella nostra vita quotidiana, ma pur sempre un mondo così inconfondibilmente, infallibilmente italiano. Per fortuna non ho avuto tempo di seguire da vicino gli sviluppi di quei numerosi thread; ricordo solo di aver pensato: "ma che sfiga, proprio oggi che abbiamo aperto un Musicraiser anche noi".

Il "noi" sarebbe il We Were Never Being Boring collective, che è una piccola etichetta discografica fai-da-te. Dentro c'è gente esperta e proprio col pallino degli affari come i Le Man Avec Les Lunettes e The Calorifer Is Very Hot (sì, uso la vecchia denominazione apposta). Il fatto è che avevamo per le mani un disco in cui abbiamo creduto e crediamo davvero tanto, soprattutto un disco che ci piace moltissimo, un disco che ascolteremmo in repeat anche se non conoscessimo di persona chi l'ha fatto, ovvero Hard Times For Dreamers, il debutto dei pesaresi Brothers in Law. Proprio mentre ci stavamo organizzando per l'uscita e la promozione ci è arrivata una notizia bomba dagli Stati Uniti ("bomba" almeno per il nostro modestissimo giro di nerd musicali): i ragazzi erano stati invitati al SXSW Festival di Austin, Texas! Che fare? All'euforia, ai messaggi pieni di punti esclamativi e alle telefonate fiume erano seguiti molto presto gli interrogativi, anzi, uno solo: no, vabè, ma i soldi?

Scartata per ragioni di tempo l'opzione di vendere una canzone per uno spot elettorale o per qualche pubblicità, ci siamo chiesti: ma come funzionano "da dentro" quelle robe tipo Kickstarter e simili? Potrebbe andare bene per noi promuovere il disco e il finanziamento del tour tutto assieme? Bisognava scommettere su un po' di cose: i tempi di consegna di vinili e cd, la prenotazione tempestiva dei biglietti aerei, i primi concerti con o senza merchandising... A ripensarci adesso, non credo siano stati messi nero su bianco molti conti e business plan, e poteva anche venire fuori una mezza cazzata. Tipo, se non avessimo raggiunto il target, come avremmo fatto a spedire i dischi del pre-order? Avremmo avuto tutti i materiali in tempo? Boh, intanto partiamo, andiamo, che la voglia di far ascoltare a tutti questa musica era troppa. Così come quella di correre a suonarla dappertutto.

Da dove partire? Musicraiser, più o meno a parità di condizioni economiche tra le varie piattaforme, ci era piaciuta come usabilità, e poi parla in italiano. Non era tutto, ma diciamo che ha fatto la sua parte. Nel frattempo si erano fatti avanti anche i ragazzi di Slow Dance, società che si è presentata dicendo di "raccontare storie attraverso brevi film". E la storia di cui anche loro si erano innamorati era quella della band di Pesaro, forse semplice ma a suo modo esemplare ("this one is different, because it's us"!). E senza che neanche facessimo in tempo a capire, hanno cominciato davvero a raccontarla come sanno fare, con le immagini, realizzando alcuni suggestivi teaser, una sontuosa clip promozionale che segue la band nella sua città e filmando anche una improvvisata sessione unplugged. Noi che non avevamo mai pensato seriamente a come sfruttare al meglio il mezzo video eravamo senza parole.

Intanto le sottoscrizioni erano partite. Piano piano, ma erano partite. Le leggende metropolitane da social media strategist, secondo cui se non fai il botto entro i primi tre-sei giorni poi il progetto è destinato al fallimento, si sono rivelate tutte sciocchezze. Bisognava tenere alta l'attenzione: un'anticipazione in mp3 qui, uno streaming là, poi il classico articoletto "track by track", il passaparola tra i blog... però non è che abbiamo fatto più di tanto. Su facebook nessuno mi pare si sia lamentato dell'eccessivo spam, e nemmeno qui su polaroid oppure in radio ho calcato la mano con il "conflitto di interessi". I Brothers In Law se la stavano cavando da soli, o meglio: soltanto con la loro musica.

E quando l'altro ieri, a tre giorni dalla scadenza abbiamo raggiunto il 100% del nostro target ho provato un momento di sincera felicità. Altro giro di telefonate euforiche, messaggi, punti esclamativi. Lo so: non avevamo portato a casa nessuna pagnotta (il bilancio di tutta l'operazione secondo me resta ancora incasinato forte), non avevamo compiuto nessuna impresa storica (sai quanti fanno un kickstarter per qualunque cosa tutti i giorni?), però eravamo riusciti a raggiungere il nostro obiettivo, e soprattutto avevamo incontrato là fuori una quantità di gente disposta a sostenerlo. Lasciateci sentire soddisfatti per un minuto. In più, tutta quella strada per arrivarci aveva significato anche provare a fare qualcosa di bello (che poi è lo scopo ultimo di tutta la scatola WWNBB), sia che fosse un video, sistemare un comunicato pieno di refusi o improvvisare una canzone in un parco con le chitarre scordate. E questo per me resta importante.

Io spero davvero che da fuori questa cosa si sia percepita, almeno un po'. Si trattava di far diventare realtà un sogno: in fondo, non è così strano, no? E se per farlo abbiamo usato un mezzo come il crowdfunding e per qualcuno è sconveniente, boh, non so che dire. Ora, a progetto chiuso, se mi volto a guardare queste settimane passate e tutto quello che è stato messo in piedi, io credo che ne sia valsa la pena.

E adesso avanti, prossima tappa: SXSW.







(mp3) Brothers In Law - (Shadow II) Leave Me (Slowdance unplugged session)



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