Dream, rebel, trust, youth, free, life, clash, truth...
Clash The Truth, il secondo album dei Beach Fossils, è uscito da più di un mese e quindi questo post è storia vecchia per quasi tutti, poco interessante nell'ecosistema dei blog. Eppure volevo aspettare di avere il disco tra le mani prima di provare a scriverne qualcosa. E anche quando finalmente è arrivato, mi sono preso molto tempo. Credo sia uno dei dischi che porterò con me alla fine di questo 2013 e sono convinto valga la pena lasciare crescere le sue canzoni.
Nel libretto del disco, prima dei testi, c'è una specie di premessa in forma di poesia o quasi. All'inizio sembra tutto abbastanza confuso, ci sono proclami, messaggi cifrati e altre frasi come stralci di diario. Il senso forse appare verso la metà, dove Dustin Payseur, mente dei progetto Beach Fossils, scrive: "I am my own biggest conflict / I don't own anything / I don't own these songs / I don't own these words". Potrà sembrare un po' ingenuo o naif: ma non è tagliando via con un "beata gioventù" che si riesce ad ascoltare quello che questo disco prova ad inseguire e (secondo me) raggiunge. Un lungo racconto in bilico tra la tensione della maturità da poco conquistata e la spavalderia di una sfida, deliberatamente incosciente.
La canzone che apre la scaletta e dà il titolo all'album mi sta ancora martellando la testa dopo tutto questo tempo. Le strofe colme di un inventario adolescenziale risuonano ipnotiche. C'è un riff scarno che potrebbe arrivare dai REM più acerbi, c'è una batteria che parte in quarta e poi non fa che spingere sempre di più, e c'è la voce di Payseur, lieve, quasi assente, ma sicura sulla limpida melodia. E quando a un certo punto parte in quarta con tutto il catalogo ("Real - time - gone - through - peace - piss - shine - brute"...), proprio mentre il tono si fa più freddo e distante, l'ansia cresce e cresce ancora, aspetti lo schianto e poi tutto si tronca di botto, proprio quando ogni cosa è tesa al massimo. Per giorni avevo cercato di capire cosa mi ricordasse, e una sera in radio mentre ne parlavamo mi è venuto un nome alle labbra. Mi sembrava un pezzo dei Teenagers, e l'ho detto senza nessun sarcasmo, anzi! E senza nessun disappunto. I Teenagers sono stati una band capace di cantare la propria epoca (epoca durata pochi mesi, qualche fine settimana appena) con uno stile che non poteva essere di nessun'altra.
Buona parte di Clash The Truth (il disco, non la canzone) sembra parlare in qualche modo al momento successivo della giovinezza, allo sconcerto che si prova quando vuoi e puoi fare ancora tutto ma la consapevolezza e la memoria cominciano a essere un invincibile freno (e a occhio e croce oggi cominciano dannatamente presto).
Lo smarrimento e l'ambizione, il desiderio e la noia, tutto quello che si contrappone e ci fa sbattere da una parte all'altra senza meta. "Sometimes I no longer know / What it means to care about" (Sleep Apnea), a cui fa da contrappunto "And I will do it on my own again / And I will say what I will" (Generational Synthetic).
Oppure quel "I've been so lost inside my head", con cui si apre Careless, ma che poi prosegue "so it's careless we need, well it doesn't mean so much when it's just greed". Proprio così, come se alla fine, nonostante tutto, potesse darsi un barlume di principio morale.
Clash The Truth non è un disco "sul diventare grandi", né racconta una gioventù bruciata ed emo. Sembra invece il ritratto mosso di un momento fugace eppure importante. Nelle stesse parole di Payseur in un'intervista di qualche tempo fa al Village Voice queste canzoni gli servono a uno scopo ben preciso: "You want to look back in 40 years or whatever and be like, that's who I was when I was 25. Or who I was when I was 26. And that's exactly how I was feeling at the time. You don't want it to be full of shit". Non è solo questione di sincerità, c'è di mezzo anche la precisione, il saper scegliere un momento netto e non un altro. Per tornare ancora alla title-track, il primo verso si apre proprio con "Life can be so vicious / And we can’t even appreciate its purities". Insomma, si avverte il bisogno di imparare a distinguere, di imparare a fare delle scelte.
Musicalmente, come è stato già scritto ovunque, Clash The Truth rappresenta una nuova fase per i Beach Fossils, ora con un vero batterista, Tommy Gardner, e un nuovo produttore (Ben Greenberg della band The Men). I suoni si evolvono rispetto all'abituale canone lo-fi pieno di riverberi, e le canzoni colpiscono a volte anche con una certa ruvidezza. C'è una maggiore varietà di ritmi, che costringe l'attenzione dell'ascolto. I riff di sono chitarra insistiti, circolari, ipnotici, e quando si alternano momenti più sognanti (quanto mai azzeccata la collaborazione con Kazu Makino dei Blonde Redhead su In Vertigo) non sono mai opachi o sfuggenti. Il paragone con i compagni di etichetta tipo Wild Nothing e DIIV regge fino a un certo punto. I Beach Fossils sembrano qui puntare a un'immediatezza più appuntita e spigolosa. Non a caso sono stati ricordati i trascorsi musicali punk di Payseur. Ben poco shoegaze qui. Tutto dà l'impressione di essere in movimento febbrile. E mi pare che alla fine questa direzione rappresenti un veicolo perfetto per quello che Clash The Truth vuole raccontare.
(mp3) Beach Fossils - Clash The Truth
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