Parecchie recensioni di Lousy With Sylvianbriar si sono sforzate di analizzare e commentare il posto che il disco occuperebbe nella lunga carriera degli Of Montreal. La cosa ha anche un suo senso: dodici album e una quantità di EP e singoli in oltre quindici anni, più tutti i cambi di maschera di Kevin Barnes, offrono un sacco di "contesto" dentro cui inventarsi strade e connessioni. Eppure io continuo a leggere tra le righe di questi articoli la genuina disperazione in cui un disco del genere può scaraventare chi ha il compito di scriverne più o meno subito per duemila battute.
Barnes si conferma un autore dalla penna raffinatissima, la barocca verbosità delle sue composizioni non ha quasi mai niente di immediato, e la sua scrittura funziona come un mostruoso macchinario di precisione, abnorme ed eccessivo, il cui scopo si intravede solo a tratti. Una musica che riesce a diventare tanto sofisticata quanto, altre volte, dissoluta, spensierata e licenziosa.
Eppure stiamo parlando "soltanto" di rock. Barnes lo ha dichiarato in ogni modo possibile: dentro questo suo ultimo lavoro dobbiamo ritrovarci i Rolling Stones di Beggars Banquet e Let It Bleed, e poi Neil Young, Bob Dylan, John Lennon, Gram Parsons e pure i Grateful Dead. Immagino desse per scontato che i T-Rex e David Bowie li avrebbero nominati tutti in ogni caso. Ok, siamo d'accordo, magnifico, ma io mi sono accorto di tornare e tornare ancora tra queste canzoni per perdermi ad ascoltare (e leggere) versi impossibili come:
from your first psychotic episode to your drug induced schizophrenia it’s your dysphoric mania that makes you so like-able and everybody wanna save you (save you just for themself)Breve vertigine. E il bello è che Barnes riesce a utilizzare queste piroette infinite per raccontare a tutti gli effetti delle storie. Che sia il quadretto delle suore che ti rubano la cocaina in Belle Glade Missionaries ("lasciano scoppiare i ragazzini nelle scuole così poi possono farli tornare nelle fabbriche, e mi provoca dolore vedervi tutti traditi a questo modo, ma immagino non lo verrete mai a sapere e quindi non importa davvero"), oppure l'autoanalisi senza pietà ma al tempo stesso ironica di Triumph Of Disintegration ("sono stato obbligato a trasformarmi in un mostro solo per sentire qualcosa di brutto abbastanza da essere vero"), cui fa eco quella di Obsidian Currents ("you like to think that you can live beyond good and evil / amputated from humanity on some life long intellectual retreat"), o magari il malsano amore di Colossus (ispirato a quanto pare alla poesia di Sylvia Plath), Barnes non lascia passare una strofa senza colmarla di immagini inattese e temerarie costruzioni grammaticali.
Eppure la sensazione che ti rimane addosso alla fine del disco è di una calcolatissima leggerezza. Un piacere bizantino, sottile, sempre sul punto di traboccare ma mai eccessivo. Merito in gran parte dei continui e strategici cambi di passo e di umore tra le varie canzoni: dal glam luccicante alle intime ballate folk, passando per un rock sanguigno e diretto, suonato dal vivo in studio. E merito anche della lucidità non banale con cui Barnes mette in fila i propri pensieri e riesce a fare poesia.
Uno potrebbe dire che in realtà il mondo degli of Montreal non viene illuminato da molti raggi di speranza ("of all the evil in the universe there are no victims only participants"), e che la nota su cui si conclude il disco, Imbecile Rages, suona parecchio negativa e non sembra riferita soltanto a una relazione finita male. Ma io credo che per il solo fatto di avere concepito Lousy with Sylvianbriar in maniera così ambiziosa, di averlo stipato di tante e tali idee che chiunque altro ne avrebbe tirato fuori almeno tre dischi, e ciò nonostante non riuscire ad annoiare mai per mezzo secondo, sia la prova migliore che Kevin Barnes è ben lontano da qualunque intenzione di resa, anzi rialza la posta, e a noi che lo ascoltiamo non resta che accettare la sfida.
(mp3) of Montreal - Triumph Of Disintegration
(mp3) of Montreal - Fugitive Air
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