Il primo dubbio è stato: dare l’insufficienza a Salad Days, terza prova del cantautore canadese, perché in sostanza si tratta dello stesso disco uscito due anni fa con un paio di synth in più (vedi il singolo Passing Out Pieces), oppure premiare uno stile che non solo non conosce stanchezza, ma dimostra di essere in piena maturazione? Ascolto dopo ascolto, prevale la seconda ipotesi: la voce sorniona, amica e rassicurante di Mac DeMarco in fondo a notti solitarie, quella sua chitarra suadente e scintillante, i ritmi incespicanti da fine sbronza e perenne sorriso assonnato (ma con il lampo sempre pronto a scatenarsi negli occhi) sono piaceri troppo preziosi.
Non conoscevo l'espressione "salad days", ma vedo che ha una lunga tradizione, da Shakespeare ai Minor Threat, passando per gli Spandau Ballet e Frank Zappa. Qui DeMarco, piazzando la title track in apertura, sembra mettere le mani avanti: "salad days are gone / remembering things / just to tell them so long". Il difficile passaggio dal cazzeggio in garage a una certa notorietà deve in qualche modo aver messo sotto pressione il giovane rocker. Eppure la successiva Blue Boy chiarisce subito che il ragazzo ha i piedi ben piantati per terra: "that's the way that life goes / no use acting so tough / come down sweetheart / and grow up". Buona parte del resto del disco ruota intorno alla domanda che apre il già menzionato singolo: "watching my life / passing right in front of my eyes / hell of a story / or is it boring?". Potresti dire che il modo in cui DeMarco sembra affrontare il tema "disco della maturità" è serio e disincantato al tempo stesso. Ma in effetti da uno con quegli occhi (e con quella certa tendenza a spogliarsi sul palco e sembrare perennemente sfasciato) non puoi mai sapere cosa aspettarti.
E poi c'è quel suono, quella chitarra languida e morbida (in inglese c'è una parola fantastica, "mellow", usata in tutte le recensioni). Ormai è un marchio di fabbrica. Puoi anche ascoltarti per intero Salad Days senza pensare a Jonathan Richman, John Lennon, Steely Dan o non so chi altro. Questo ora è puro Mac DeMarco al cento per cento, il quale tra l'altro dichiara apertamente la propria autonomia in Goodbye Weekend: "don't tell me / how this boy should be / leading his own life".
Ma la cosa più incredibile che si legge nella magnifica cover story di Evan Minsker su Pitchfork riguarda le registrazioni del disco fatte dallo stesso DeMarco nella sua stanzetta di Brooklyn:
His Fostex reel-to-reel tape machine is down from eight working channels to six, and he's also discovered a side effect of chain smoking right next to it: The tape is warped. “The guitars sound so fucked up,” he says. “It's amazing.”
Non mi importa realmente se è vero oppure no. Il "personaggio" Mac DeMarco si porta dietro questo tipo di mitologia, e per una volta funziona senza sbavature e soprattutto senza prevalere sulle canzoni. Il fumo che filtra tra le note: ecco un'immagine formidabile per questo disco e per tutta la sua musica.
(mp3) Mac DeMarco - Blue Boy
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