Negli ultimi tempi sto ascoltando parecchio Chinese Fountain, il nuovo disco dei Growlers. E non perché sia un disco irresistibile (mi pare si possa essere tutti d'accordo sul fatto che non è certo la loro prova migliore, o almeno non a livello degli ultimi due lavori). Ma c'è qualcosa in queste canzoni che mi ci fa tornare spesso sopra. Forse proprio perché si presenta come l'album più "ripulito" e in qualche modo più rilassato della band californiana, sembra ci sia qualcosa che non si riesce ad afferrare mai del tutto. Una musica che mi porta domande che hanno poco a che fare con la musica. Non mi capita spesso che una canzone mi faccia pensare a quanto ne so in realtà del mondo di chi l'ha scritta. Non dovrebbe influenzare il giudizio, a dire il vero, ma la voce nasale di Brooks Nielsen, come un Dylan danneggiato che non ha trovato la poesia al di là dal bancone del bar, meriterebbe già un romanzo. Di sicuro c'entra il fatto di avere visto i Growlers dal vivo in condizioni abbastanza incredibili; c'entra il fatto che sono forse l'unica band a rendermi tollerabile questo progressivo slittamento verso ritmi in levare; e c'entra il fatto che oggi, con qualche mezz'ora sui social network, a chiunque sembra di essere già amico della band e di sapere tutto quello che c'è da sapere (foto fighissime di concerti letteralmente tra le braccia del pubblico, feste a qualunque ora, una consistente quantità di droga, sfascio di ogni genere, e al tempo stesso una dedizione al lavoro implacabile). Con i Growlers sembra più importante che per altre band conoscere la "cold bitch" di Big Toe: "she's a lost cause, so count your losses". L'addio di Dull Boy alla città che sta affondando non suona del tutto finzione. La nausea espressa da Not The Men è genuina. L'invocazione di Black Memories segna il momento fatale: "where are you going? Come back with my heart". In fondo, conosciamo già abbastanza bene quali temi aspettarci dai Growlers: storie d'amore più o meno maledette, ricordi confusi dopo la seconda bottiglia di tequila, paesaggi marginali di rovine e strade perdute, menzogne a sé stessi, la lotta quotidiana per portare a casa la pelle, l'impossibilità della redenzione, per di più senza nessuna vera grande tragedia. Storie piene di gente con cicatrici che si sbatte, si trova e si perde, senza ormai nemmeno una lacrima di disillusione. Saranno gli anni dell'adolescenza passati a leggere Fante, Steinbeck e Saroyan che mi hanno lasciato addosso un debole per questo mondo, ma l'intera band dei Growlers sembra un'idea uscita da una loro stessa canzone, e chi se ne importa se questo disco è uscito così, il prossimo sarà già in arrivo, appena hanno un attimo di tempo tra un concerto e l'altro e due soldi per lo studio.
Ogni tanto, in mezzo a tutta questa "Magnificent Sadness", e in mezzo ad alcuni testi un po' più imbarazzanti del solito (ad esempio la title track), Chinese Fountain lascia trapelare qualche intuizione di speranza. Going Gets Tough nota che "worry is a bully that just won’t let me be", eppure in qualche modo tiriamo avanti comunque, una scheggia di fiducia persiste: "the labour of love will reward us soon enough". Credici.
(mp3) The Growlers - Black Memories
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