In questi giorni non ho molte cose da scrivere, perciò ho deciso che condividerò qui sul blog un po' di appunti "live" da Twee, il saggio di Marc Spitz dedicato alla "rivoluzione gentile". Spitz traccia una storia dell'idea di "Twee" dal dopoguerra ai giorni nostri, raccogliendo i più disparati elementi di cultura pop. Non so come andrà a finire, a volte il ragionamento sembra abbastanza fragile e fin troppo "generoso", tendendo a includere un po' tutto, ma di sicuro ci sono parecchi passaggi interessanti e la scrittura è brillante.
Il punto di osservazione da cui parte Spitz è che la più recente gentrificazione della sua nativa Brooklyn rappresenti l'epicentro del Twee, e che sia avvenuta una progressiva "brooklynizzazione" dell'estetica a livello mondiale:
Some Narnias are not full of industrious souls. Rather, they are otherworlds, which simply enchant without stoking the urge to collect and consume. They're fantastical, mostly fictional. In Brooklyn and "Brooklyn" (the real world, if you will) you have to purchase the snow and the creatures and the experience itself. While it might seem folly to some, this retail-happy land is not without its share of genuinely inspired inventors. Among these aesthetes is the clever soul who has penetrated the lid of an old-fashioned glass mason jar and welded a metal straw to the top for sipping. It's not the lightbulb, the combustion engine, or the silicon chip, but America doesn't make these things anymore. What we produce is... "Brooklyn". It's our greatest export to the world right now, the way "Hollywood" was a half century ago and Silicon Valley was three decades later.
La seconda cosa interessante è che quello che succede a Brooklyn, ovvero la mescolanza di Generazione X, Y, Millennials e baby-boomers fuori tempo massimo, fa dire a Spitz che, a differenza del Punk e dell'Hip-Hop, il Twee unisce generazioni lontane, tanto gli adolescenti quanto i sessantenni, "liberating from the pressure to be cool, swaggering, aggressively macho and old at heart".
[continua...]
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