Wish we were


 Pinkshinyultrablast - Everything Else Matters



Una volta Simon Reynolds ha detto che la più grande debolezza dello shoegaze era la quasi totale atrofizzazione del ritmo. C'era questa immagine di gente che ciondolava a un concerto, ma era come se i corpi fossero quasi rimossi dalla percezione della musica. Anche se il punto in questione credo fosse una critica dell'approccio "da bianchi" al suono, e il tono anche un po' provocatorio, forse l'osservazione non è del tutto fuori luogo. Se l'elemento distintivo dello shoegaze resta quel muro di echi e riverberi edificato sulle chitarre, dove la musica sembra immergersi e dissolversi, per tutto il resto rimane sempre meno spazio. Anche il copioso revival dello shoegaze e le reunion degli ultimi anni, dai sovrani My Bloody Valentine in giù, mi pare non abbiano fatto molto per smentire questa opinione, senza radicali aggiornamenti.

Arriviamo così a questo Everything Else Matters, album di debutto dei Pinkshinyultrablast, band russa dal nome formidabile (preso in prestito da un disco del 2002 di un'altra band shoegaze americana, gli Astrobrite). Quello che mi ha colpito al primo ascolto è stato proprio il modo in cui le canzoni stanno letteralmente saltando per aria sotto gli strati di chitarre e synth. Come se la musica dei Pinkshinyultrablast non potesse rimanere ferma dentro un suono omologato e scappasse da tutte le parti. Sono quasi tutte veloci le canzoni di Everything Else Matters, o racchiudono scatti e propulsioni, anche quelle più malinconiche, e c'è un'inquietudine lacerante che le tiene in continuo stato di agitazione. La batteria corre mentre le chitarre stridono. Il contrasto tra la voce e le melodie iperluminose di Lyubov Soloveva (i cui paragoni con Elizabeth Fraser si sprecano) e il tumulto di quello che succede sotto di lei è senza dubbio uno dei principali punti di forza della band. A qualcosa del genere  tendevano anche gli Asobi Seksu, in anni recenti, ma mi pare che in questo disco ci siano un'asciuttezza e una determinazione diverse. Il quintetto di San Pietroburgo non è mai "svenevole" (altra parola che spesso torna in mente quando si tratta di parlare di shoegaze), pur restando del tutto fedele ai canoni del genere. In un'intervista di qualche mese fa ho ritrovato questa dichiarazione d'intenti: «we’ve always wanted to play pop music with an explosive character, that is, what we call it, “thunder pop”». E anche se questa etichetta è francamente terribile, credo che comunque serva a rendere l'idea: qualcosa di tempestoso, celestiale ma diretto e capace di scuoterti, legato a un ideale di pop perfetto, perseguito con rabbia e tenacia.



(mp3) Pinkshinyultrablast - Ravestar Supreme





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