The Radio Dept. @ Bitterzoet, Amsterdam 2017/01/28


The Radio Dept. @ Bitterzoet, Amsterdam 2017/01/28



Sono passati quasi quattordici anni da quando, per la prima volta, saltammo su un aereo e volammo a vedere i Radio Dept. al loro primo concerto fuori dalla Svezia. Me ne rendo conto all’improvviso sabato sera, sotto al palco del Bitterzoet di Amsterdam, mentre il locale si sta riempiendo. Di colpo realizzo quanto tempo è passato da quella goffa nottata al piccolo Spitz di Londra mezzo vuoto, zona Brick Lane pre-gentrificazione, senza Rough Trade né bancarelle hipster a Spitalfields. Il catalogo delle cose che sono cambiate da allora (per la band, per questa confusa scena musicale, per noi...) è una vertigine. Dura un attimo: decido di pensare invece a quello che è importante oggi, al fatto che siamo ancora qui davanti (per la band, per questa confusa scena musicale, per noi...), al fatto che non abbiamo esitato un attimo a saltare su un altro aereo ancora una volta, per esserci, finché reggono le gambe, e al fatto che la data, come quasi tutte le altre di questo tour, è sold out.

Alla fine, per me conta soltanto che l’ultimo disco dei Radio Dept., Running Out Of Love, sia bellissimo, forse il migliore e il più importante della loro carriera finora, e che tra poco lo sentiremo dal vivo. Qui, ora, davanti a noi. Basta sopravvivere alla playlist di sottofondo (un’interminabile ora di Drake, The Weeknd, Frank Ocean, The Internet...), basta non prendersela troppo per i drink che non sanno di niente, basta fare qualche sforzo per godersi anche il gruppo spalla, i Germans, soul/R’n’B da New York, tanto eleganti quanto flebili (l’accoppiata in cartellone al Bitterzoet mi è sembrata abbastanza bizzarra).

Tra le molte cose che sono cambiate per i Radio Dept. salta subito all’occhio il set-up del nuovo palco, il cui allestimento dura parecchio: la quantità di macchine è cresciuta in maniera esponenziale e, cosa ancora più importante, i tecnici stanno preparando quattro postazioni. Infatti, scopriamo che insieme a Johan Duncanson, Martin Carlberg e al ritrovato Daniel Tjäder, c’è anche Maja Karlsson, che aveva già accompagnato la band in Asia l’anno scorso. A lei il compito di dare coesione e robustezza al suono dei Radio Dept., passando da una seconda chitarra ai synth, alle percussioni (acustiche e sintetiche). Un apporto fondamentale, lo si capisce subito dall’attacco con Sloboda Narodu, tesa e precisa, canzone che apre anche l’ultimo album e detta il tono alla scaletta di questa sera. "Death to fascism, freedom to the people".

La seconda cosa che mi colpisce è che, nonostante siano in giro da così tanto tempo, i ragazzi non hanno ancora imparato a dissimulare la propria timidezza di fronte al pubblico. Tra una canzone e l’altra Johan non può far altro che sorridere chiudendo gli occhi, accennare “thank you”, un paio di volte “cheers”, e quasi nient’altro. Sono adorabili: sono qui per suonare, per sbatterci addosso le loro canzoni più crude e impietose, parlare di etica e umanità attraverso la loro musica. Ma quando manca quella, restano sempre i riservati e introversi ragazzi nordici che avevamo incontrato tanto tempo fa, che tacevano o si scusavano sconsolati per le loro performance dal vivo. Invece stasera funziona tutto a meraviglia.

Ovviamente il nuovo album prevale nella selezione: We Got Game, incalzante Detroit che fa ballare la gente sulla galleria, l’ondeggiante Committed To The Cause, con l’innesto di quel furbissimo piano italian house, la dolcissima e tormentata Teach Me To Forget (questa non me l’aspettavo) e addirittura la strumentale title track. Le tracce più vecchie si inseriscono alla perfezione in questo suoni sospesi tra eredità Pet Shop Boys e un balearico scandinavo asciutto e glaciale. Riascoltato oggi, il vecchio singolo David era già un’anticipazione dei temi del più recente lavoro, mentre Heaven’s On Fire suona come una hit estiva mondiale di qualche migliore universo parallelo in cui vorrei abitare. Ottimo il recupero di The New Improved Hypocrisy, azzeccatissimo per argomento e forma, mentre The Worst Taste in Music dal vivo abbandona le sfumature più dolenti per spingere sul lato ritmico. Com’è logico aspettarsi, i Radio Dept. non fanno mai quello che ci si aspetta da loro, e così dal primo disco non ripescano canzoni prevedibili come Against The Tide o Damage, ma l’interlocutoria Lost & Found, la cui malinconia è forse l’unica parentesi in cui il concerto sembra perdere compattezza. Ancora, tra le cose che mi aspetto e che puntualmente non si avverano: sarebbe fin troppo facile per i Radio Dept., in questi surreali e minacciosi primi giorni della presidenza Trump (mentre anche il resto del mondo non se la passa meglio), introdurre quasi ogni canzone con lunghi discorsi di contesto politico. Invece nulla: non una parola sulle "Swedish guns", nessuna facile battuta sul “middle ground” o sul preveggente “We don’t mind democracy / We have our ways around it”.

La mia idea è che i Radio Dept. ritengano di avere detto tutto quello che devono dire a riguardo nella strofa “There’s a choice to be made / We never used to blindly disobey / Now make some noise, never fade”. Vederli dal vivo e sentirsi arrivare addosso quelle parole, tra bassi profondi e ritmi sintetici che rimbombano nella pancia, è sinceramente emozionante. Più forte di mille canzoni che l’abitudine definisce “di protesta”. L’apoteosi finale è una tiratissima versione di Occupied di quasi dieci minuti, dall’incedere marziale e spietato, “We all wish there was a hell for some people”, fino al crescendo techno e apocalittico bombardato dalle strobo, una detonazione liberatoria che forse non tutti si aspettano a un concerto dei Radio Dept. La sala esplode.

È grandioso e riempie il cuore vederli così in forma, dopo tanto tempo e mille tentativi, una sintesi perfetta di quello che hai sempre voluto tu da loro e di quello che forse vogliono loro dalla musica, una sintesi che finalmente si avvera.








The Radio Dept. - Occupied












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