Trappist-1 OST Volume Uno


STROMBOLI - VOLUME UNO



Ero in treno e stavo ascoltando il nuovo album di Stromboli quando è arrivata la notizia che la NASA aveva annunciato la scoperta di altri pianeti in cui la vita potrebbe essere possibile. Sette pianeti intorno a un piccolo sole, a quarant'anni luce dalla Terra. Buio fitto fuori dal mio finestrino, le cuffie ben strette, il volume molto alto per perdermi dentro bassi pulsanti, clangori sconosciuti e oceani sintetici, e in testa questo strano nome: Trappist-1.

Mentre leggevo e rimbalzavo da twitter ai siti dei quotidiani, il mio collage mentale di immagini prese da film di fantascienza era abbastanza prevedibile, eppure la musica di Stromboli funzionava, rendeva tutto più avvincente. Il treno, nel suo lungo viaggio di avvicinamento a una stella nana rossa ultrafredda e sconosciuta, di classe spettrale M8, risuonava della musica elettronica di Nico Pasquini, e mi sentivo quasi ottimista. Mi sono chiesto, come tanti altri, se i miei figli vedranno partire astronavi. Mi sono chiesto se lasceremo vivere questo pianeta abbasatanza a lungo per conoscerne altri. E a poco a poco, ho cominciato a sentire dentro questi strati di suoni e ritmi destrutturati, un suono e un ritmo nuovo, epico e grandioso.

Non capisco perché tutte le recensioni descrivano Volume Uno come un disco "marcio, scuro e sinistro". Qualcuno ha parlato addirittura di "visions of decay and mutation and gangs of feral humans roaming the urban landscape looking for fresh meat". Stanno male. Perché devono rovinare la mia personale traversata galattica? Non sentono che i droni frantumati di Drag Phase sono l'affascinante rumore di radiazioni cosmiche che si dissolvono? Non vedono che l'incedere ossessivo di Downwards o di Glow racchiude i poderosi rumori della gigantesca e prodigiosa sala macchine che spinge lo smisurato vascello verso altri sistemi solari? Non capiscono che la solennità di Basedown Grave è la stessa del primo miracoloso passo sulla superficie di un satellite sconosciuto? Perfino nella copertina del disco, nell'incredibile foto di Giulia Mazza, il pulviscolo si trasforma in stelle e galassie!

Eppure prevale questo luogo comune per cui il suono industriale deve per forza accompagnarsi a una visione nichilista e opprimente. Forse non conosco abbastanza Terry Riley e Basinski, forse è solo un mio limite. Ma perché quasi tutti i film di fantascienza devono finire per essere mezzi horror semplicemente ambientati nello spazio? Se devo immaginare l'oltre, io voglio che sia l'avventura, la scoperta, la frontiera. Voglio Verne, Bradbury, Incontri Ravvicinati Del Terzo Tipo.

Ho ripensato alle rocce sospese nell'aria di Arrival, a tutti gli interrogativi irrisolti del contatto con ciò che è alieno. Una delle cose che ho amato in quel film è come tutto si fermi sempre un passo prima di cedere alla cieca paura. Gli extraterresti neri non hanno nulla di tenero e sentimentale, alla E.T., ma non per questo tra di noi è impossibile comunicare. Il linguaggio, per quanto sfilacciato e impalpabile, esiste, e ha una sua musica mostruosa, tutta da decifrare. Non siamo più i bambini che scappavano sulle BMX, lo spazio là fuori è immenso e buio, e forse non ha niente di amichevole. Ma non per questo è nostro nemico. Allo stesso modo questo disco, non deve avere per forza il suono di minacce terrificanti e cupa disperazione: su qualche pianeta che non riusciamo ancora a immaginare, dalle parti di Trappist-1, è puro rave, oppure divertentissimo pop. Andiamo a scoprirlo.












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