Diventare astronauti per combattere l'insonnia, esplorare lo spazio e imparare a suonare in sogno. HOLY riesce a prendermi per mano e portarmi fino in fondo a una specie di concept album con canzoni da nove minuti, e a farmi avere voglia di ricominciare subito da capo: dev'essere qualche specie di forza gravitazionale ancora sconosciuta, invisibile e irresistibile. Sono sbalordito.
A quanto pare, questo disco prende il titolo da un libro chiamato "All These Worlds Are Yours: The Scientific Search For Alien Life". È possibile tradurre nella lingua del pop una tensione inesauribile ad andare oltre il mondo percepito e noto, a espandere la prospettiva (e la mente), senza sconfinare nella pura e muta sperimentazione? Sembra essere questa la domanda che riunisce e muove queste dieci tracce, una più imprevedibile dell'altra. Ognuna è una somma di movimenti, traiettorie, idee che si trasformano e si dissolvono e tornano alla luce in una galassia differente.
Un pop orchestrale ricchissimo che, da un lato, prende vita da supernove come i Beatles e i Beach Boys più visionari, ma che si immerge con gioia nelle orbite glam di opere come Ziggy Stardust, o insegue comete psichedeliche come Flaming Lips, Spiritualized o Mercury Rev. Tutto scintilla, nulla si ripete. Chitarre grondanti, pianoforti stellari, riverberi ed echi che colmano l'intera volta celeste. A tratti, HOLY (nome d'arte di Hannes Ferm, da Stoccolma, di casa nella sempre più maestosa PNK SLM) appare parecchio melodrammatico, e la sua musica trabocca di nostalgia. Ma subito dopo ti rendi conto che si è già teletrasportato dalla parte opposta dell'universo, e sta facendo da colonna sonora a documentari sulla vita di altri pianeti, sulla plancia di comando hanno messo i Kinks nel jukebox e ballano, e un attimo dopo torna a sognare, astronauta ibernato che parla nel sonno per secoli, e suona una canzone d'amore a un impalpabile alieno. State pronti a decollare.
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