I'm sorry that you had to see me like that



Quando piangi e chiedi anche scusa: non volevi creare imbarazzo a nessuno. Quando hai voglia di passare del tempo insieme a qualcuno e ti senti rispondere "certo, tanto non avevo di meglio da fare". Quando resti vicino a chi ti ha spezzato il cuore con uno sguardo appena, un distratto e incurante sguardo. E forse resti perché speri di coprire quei ricordi con altri meno complicati da gestire, e non perché davvero credi che qualcosa possa cambiare per te. "I’ve won over your mother, darling / And I’ve won over your sister too / And I won over your father, darling / And I still don’t feel worthy of you". Quando sei lì che guardi allo specchio quel tuo corpo nudo, mentre di là nella stanza ti aspetta la tua ultima pessima idea. Quel corpo che non vede l'ora di regalare tutta la devozione di cui è capace: eppure "my body holds me like a prison".

C'è un groviglio di sentimenti in conflitto dentro il nuovo disco di Palehound che mi lascia un po' smarrito. Ci sono racconti "a cuore aperto" di una grande amicizia, più forte di qualsiasi altro sentimento, ma ci sono anche strofe che rivelano un dolore portato avanti proprio come una storia d'amore. Black Friday è un disco che non nasconde le proprie contraddizioni, le ossessioni e i compromessi: anzi, insegue e utilizza tutto questo per liberarsi, per affrontare la verità. Non è sempre piacevole (del resto, non siamo sempre "piacevoli" e coerenti nemmeno noi), e la maniera che trovano queste tredici canzoni per descrivere il proprio mondo mi colpisce per la disarmante semplicità: affine a quella di altre band che amo, come Frankie Cosmos o Girlpool, ma qui colorata di un'accettazione quasi "sacrificale" dei contrasti in cui viviamo.

Il progetto di Ellen Kempner, giunto al terzo album e passato dal classico bedroom pop a una formazione in trio, è capace di suonare un indie rock molto consapevole e infuso di uno spirito Nineties ormai del tutto contemporaneo (il singolo Aaron, oppure Urban Drip, giusto per citare due dei miei titoli preferiti). Ma forse è nelle ballate che raggiunge la più efficace drammaticità, come in Worthy o nella title track: "you’re Black Friday and I’m going to the mall". Un disco intricato che sotto l'apparenza indiepop intreccia una complessità emotiva che richiede (e merita) un ascolto approfondito.













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