I’ve always been a searcher


Sonny & The Sunsets - Hairdressers From Heaven



"Sono sempre stato in cerca di qualcosa. E magari cercando mi è capitato di trovare una cosa o due, ma quello che non ho ancora trovato è un senso. Io continuo a cercare": se l'infaticabile Sonny Smith ha voluto scrivere un autoritratto in forma di canzone, credo che con Searchin' ci sia andato molto vicino. La canzone perfetta di uno che non smette di cercare anche quando ha trovato, non smette di inventare dischi, nomi di band e progetti: quella canzone potrebbe racchiudere quasi tutta la sua musica, il suo amore per il rock'n'roll classico, qui declinato verso un power-pop super melodico, con quella punta di malinconia subito stemperata da un'ironica vena surreale e dal disincanto. Eppure, nonostante tutto ciò, Searchin' non è ancora la vetta di Hairdressers From Heaven, il nuovo album uscito come Sonny & The Sunsets.

A seguire arriva Someday I’d Like to Be an Artist, una semplice ballata che sembra partire circospetta, soltanto pianoforte, basso e voce, e poi all'improvviso, guidata da un esile flauto, dopo un paio di handclap, letteralmente fiorisce di archi sentimentali che sembrano abbracciarti e sollevarti. "Someday I’d like to be an artist, and give myself away everyday": come se Sonny Smith non facesse esattamente questo da una vita. Sta parlando di sogni, si sentono voci di ragazzini, progetta di coinvolgere amici che la pensano come lui. Ma è come se quel futuro soltanto immaginato fosse già qui: è questa canzone, è questo disco, siamo noi che ascoltiamo insieme a lui.

E se questo album riesce a emozionare così tanto, parte del merito forse va riconosciuta anche a James Mercer e Yuuki Matthews degli Shins, che lo hanno prodotto e arrangiato insieme a Smith e a una quantità di collaboratori (tra cui Kelly Stoltz, Joe Plummer, Atom Ellis...). Vedi per esempio l'apertura di A Bigger Picture, quasi Supertramp nel suo scintillare come la fine di una domenica pomeriggio Anni Settanta (e che si chiude con un sintomatico gioco di parole "let's be free / let's be freaks"), oppure la quasi glam e al tempo stesso psichedelica conclusione di Drug Lake.

In generale si avverte uno spirito rinnovato e intraprendente lungo tutto il lavoro, che esce autoprodotto per la neonata label di Sonny Smith, la Rocks in Your Head Records. Deve essere proprio la nuova impresa, nata dal rapporto stretto con la città, le sue lotte, la sua scena alternativa e le sue differenti generazioni di musicisi, la causa di tutta questa risolutezza:


San Francisco has taken hits. Clubs have closed. Artists have left. People have made eulogies – This is something up which we cannot put! There are good bands in this city. There are great artists making bizarre shit. There are underground HAPPENINGS. There are SECRET shows. There are artists in the streets duking it out with Nazis. Shit is going down. The corporate bulldozers ran through the city and they are still driving around demolishing the place. These tanks are called Death and they bring a foul stench. [...] maybe the city will drift into a long sleep with a hollow snore. Humbly, this label is our version of throwing nails at the tank tires.

Nulla da aggiungere dopo parole tanto azzeccate e piene d'ardore, se non: "Sonny, siamo con te".







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