Quando in un'intervista di un paio d'anni fa hanno chiesto a Rein Fuks, fondatore dei Pia Fraus, di descrivere la musica della sua band, le prime due parole che ha usato sono state "foggy" e "dreamy". Il suono dei Pia Fraus per me è sempre stato legato a un certo sentimento autunnale, a una bruma densa e vorticosa di riverberi ed echi dentro cui le voci, i feedback delle chitarre e i tappeti di synth si amalgamano in un colore coeso, dalle sfumature malinconiche ma in cui non sono mai mancati lampi accesi (spesso enfatizzati nei tanti remix che i Pia Fraus hanno da sempre commissionato ad artisti come Hood, Ulrich Schnauss, Vanishing Twin, Airiel e His Name Is Alive, solo per citarne alcuni).
La band proveniente da Tallinn, Estonia, ha ormai superato il ventennale di carriera, e ora ha pubblicato il sesto lavoro, Empty Parks: per loro stessa ammissione, è il loro album più pop di sempre. Il loro classico shoegaze sembra oggi più addolcito, in qualche modo rasserenato: vedi per esempio il singolo Love Sports o The New Water, in cui emergono influenze di Stereolab, oppure la luminosa Sweet Sunday Snow, che avrebbe potuto essere di certi giovani Radio Dept. oppure degli Yo La Tengo in vacanza nel Nord Europa.
Traccia dopo traccia, tutto Empty Parks rivela una formidabile compattezza, e senza dubbio parte del merito va al produttore che ha messo le mani su questo disco. Stavolta, infatti, i Pia Fraus (che in passato avevano anche collaborato con Norman Blake dei Teenage Fanclub) hanno potuto registrare ai Soma Electronic Music Studios di Nevada City, California, insieme a John McEntire. "Un sogno adolescenziale che è diventato realtà", è stato il commento molto schietto di Fuks. Grazie anche alla sua presenza, Empty Parks rivela una band che, nonostante si possa considerare una veterana della scena indipendente europea, continua a trovare stimoli nuovi e raggiunge questa invidiabile freschezza.
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