Non sono certo uno che si può vantare dicendo “vengo dal punk e dal noise” (cit.), ma tutto sommato, ripensando ad anni di concerti e festival, mi sento molto fortunato a essere capitato lì dove succedevano cose bellissime e potenti, ad aver frequentato posti in cui andare ad ascoltare una certa musica significava anche credere che la vita potesse cambiare. Quei posti e quella musica un po’ hanno cambiato anche me, che di solito non ascoltavo cantanti gridare piegati sopra ritmi dispari. Quelle incredibili rassegne DIY, con o senza palco, gli impianti montati e smontati in un lampo, banchetti e autoproduzioni, furgoni abitati, lattine di birra a un euro, i Pausa Cena in scaletta, i segni a pennarello sui polsi per entrare.
Negli ultimi tempi (tempi in cui – ribadiamolo – non possiamo vedere una band dal vivo in una stanza stipata di gente presa bene, e non potremo farlo per chissà quanto ancora) due cose mi hanno colpito al cuore: la ristampa in vinile di For A New Grammar Of Feelings dei Neil On Impression, del 2004, e Atlantide – Hardcore D.I.Y. Punx Live 2001-2015, libro che racconta la storia dei concerti dentro il cassero occupato di Porta Santo Stefano a Bologna. Un album e un libro stupendi e preziosi, curati con amore.
Quel disco dei Neil On Impression forse lo comprai la prima volta in CD proprio a uno dei concerti ad Atlantide, di sicuro suggestionato dalle parole di un acceso Federico “FedeMC” Bernocchi sulle frequenze della fu Radio Città del Capo. I Neil On Impression erano una band di post-rock strumentale epico, di quelle che volevo ascoltare incollato alle casse, che ti facevano sollevare i capelli sulla nuca mentre puntavi il dito al cielo. Dentro ci suonava gente del giro screamo romagnolo proveniente da Raein, Riviera e Dags: tutte band che ti poteva capitare di vedere almeno un paio di volte l’anno anche senza deciderlo. Semplicemente erano lì, quella era la scena, il ribollente sottosuolo hardcore, un fermento fenomenale che coglievo solo in parte e che però riusciva a coinvolgere davvero tutti, anche chi, come me, non sapeva pogare. Altro, Settlefish, Death Of Anna Karina, Red Worm’s Farm, i Tunas, Bob Corn, La Quiete, SUMO, Sameoldsong, Sprinzi, G.I. Joe… Ognuno potrebbe citare i propri preferiti, ognuno potrebbe cercare tra le decine di foto dentro al libro sull’Atlantide vecchie facce note e amiche, ognuno potrebbe riconoscere sé stesso dentro le parole appassionate dei testimoni che hanno attraversato quello spazio.
Scorrendo l’incredibile lista dei nomi passati in quei 70 metri quadri ripenso alla fortuna che aveva questa città e a cui ha voluto ostinatamente rinunciare. Ripenso a tutte le volte che per pigrizia anche io avrò deciso di non andare a qualche serata. Come posso perdonarmi di avere perso gli Against Me! (due volte!) oppure i Defiance Ohio (due volte!)? Sono però anche orgoglioso di poter dire di avere visto le Black Candy ogni volta che hanno suonato lì, o di essere stato in prima fila per Ted Leo, e di avere avuto l’onore di ospitare in radio, insieme alle Signorine Taytituc e alle She Said Destroy!, proprio il Collettivo NullaOsta, che dentro Atlantide ha organizzato tutti quei concerti.
Col senno di poi, lo sgombero dell’ultimo posto occupato dentro il centro di Bologna ha rappresentato soltanto l’ennesimo passo verso il vuoto consapevolmente inseguito da questa città. Un desiderio di chiusura ben simboleggiato dai mattoni con cui le forze dell’ordine sigillarono la piccola porta dell’Atlantide. È per questo che un libro come Atlantide 2001-2015, ma anche una bella ristampa come quella dei Neil On Impression, non a caso pubblicati, rispettivamente, da Serimal di Michele Camorani (Raein, La Quiete, Havah…) e Legno di Jacopo Lietti (Fine Before You Came), sono necessari oggi più che mai, per tramandare la forza espressiva, la capacità di essere liberi e creativi di quella comunità.
Quel disco dei Neil On Impression forse lo comprai la prima volta in CD proprio a uno dei concerti ad Atlantide, di sicuro suggestionato dalle parole di un acceso Federico “FedeMC” Bernocchi sulle frequenze della fu Radio Città del Capo. I Neil On Impression erano una band di post-rock strumentale epico, di quelle che volevo ascoltare incollato alle casse, che ti facevano sollevare i capelli sulla nuca mentre puntavi il dito al cielo. Dentro ci suonava gente del giro screamo romagnolo proveniente da Raein, Riviera e Dags: tutte band che ti poteva capitare di vedere almeno un paio di volte l’anno anche senza deciderlo. Semplicemente erano lì, quella era la scena, il ribollente sottosuolo hardcore, un fermento fenomenale che coglievo solo in parte e che però riusciva a coinvolgere davvero tutti, anche chi, come me, non sapeva pogare. Altro, Settlefish, Death Of Anna Karina, Red Worm’s Farm, i Tunas, Bob Corn, La Quiete, SUMO, Sameoldsong, Sprinzi, G.I. Joe… Ognuno potrebbe citare i propri preferiti, ognuno potrebbe cercare tra le decine di foto dentro al libro sull’Atlantide vecchie facce note e amiche, ognuno potrebbe riconoscere sé stesso dentro le parole appassionate dei testimoni che hanno attraversato quello spazio.
Scorrendo l’incredibile lista dei nomi passati in quei 70 metri quadri ripenso alla fortuna che aveva questa città e a cui ha voluto ostinatamente rinunciare. Ripenso a tutte le volte che per pigrizia anche io avrò deciso di non andare a qualche serata. Come posso perdonarmi di avere perso gli Against Me! (due volte!) oppure i Defiance Ohio (due volte!)? Sono però anche orgoglioso di poter dire di avere visto le Black Candy ogni volta che hanno suonato lì, o di essere stato in prima fila per Ted Leo, e di avere avuto l’onore di ospitare in radio, insieme alle Signorine Taytituc e alle She Said Destroy!, proprio il Collettivo NullaOsta, che dentro Atlantide ha organizzato tutti quei concerti.
Col senno di poi, lo sgombero dell’ultimo posto occupato dentro il centro di Bologna ha rappresentato soltanto l’ennesimo passo verso il vuoto consapevolmente inseguito da questa città. Un desiderio di chiusura ben simboleggiato dai mattoni con cui le forze dell’ordine sigillarono la piccola porta dell’Atlantide. È per questo che un libro come Atlantide 2001-2015, ma anche una bella ristampa come quella dei Neil On Impression, non a caso pubblicati, rispettivamente, da Serimal di Michele Camorani (Raein, La Quiete, Havah…) e Legno di Jacopo Lietti (Fine Before You Came), sono necessari oggi più che mai, per tramandare la forza espressiva, la capacità di essere liberi e creativi di quella comunità.
UPDATE: trovate una bella intervista con Paper Resistance ed Enrico di NullOsta su NEU Radio.
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