Affinità e divergenze tra la compagna Zooey e noi

TALULAH GOSH

Care compagne e cari compagni, da più voci e molte segnalazioni è stato portato alla nostra attenzione il recente e considerevole risalto che la stampa nazionale e internazionale ha dedicato al cosiddetto revival del concetto di “Twee”. Non vi nascondiamo di avere accolto tutte queste notizie con viva trepidazione. L’inattesa rinascita, che certo non mancherebbe di allietare i molti tra di voi che ancora hanno a cuore la bellezza senza compromessi e l’amore per il bene, è stata indicata da fonti indiscutibilmente autorevoli.
Abbiamo qui esempi eminenti e illustri: l’edizione americana di Vogue (“Unpacking the Twee Fashion Craze Taking Over TikTok”), quella di Rolling Stone (“We Are Simply Dreading the Return of Twee on TikTok”) e anche il sempre simpatico i-D (“Oh god, is twee back? - Dig out your cardigans and ballet flats!”). 
Quale, dunque, è la materia che stanno trattando tutte queste influenti testate? «Many associate twee with the return of the Tumblr era, which has been steadily creeping up on us for the last year. But even more core to the twee aesthetic is the art of thrifting and shopping secondhand, which has hit the mainstream like never before». Non vi è dubbio alcuno: afferma che sta proprio definendo “the core” dell’estetica Twee, non ci stiamo sbagliando. Prendiamo nota.
E quali sono i personaggi di riferimento di questo vasto e importante moto di rifioritura del Twee? «Style stars like Zooey Deschanel, Taylor Swift and Alexa Chung». Altri testi non possono proprio tralasciare, come è ovvio e doveroso, di menzionare Tavi Gevinson e Wes Anderson.
Anche nella nostra bella Italia ci si è subito messi d’impegno per studiare il ritorno del Twee: Grazia.it qualche giorno fa ha titolato “Let's Twee again: cosa c'è da sapere sulla nuova tendenza che spopola sui social” e ha così analizzato il fenomeno: «Nato a partire dagli anni 2010, quando i primi social media Tumblr e MySpace iniziavano ad affermarsi come veicoli di emozioni, opinioni e precise idee estetiche, il Twee si caratterizza come tendenza che trae ispirazione dallo stile retrò degli anni 60 e 70». Rilevando di passaggio il lieve rincrescimento per il fatto che un articolo italiano sul tema del Twee non abbia ritenuto necessario interpellare, non dico il sottoscritto, ma nemmeno competenti e accreditati specialisti come Salvatore di Indiepoppuntoit o Nur di Frigopop, ecco riteniamo opportuno apporre qui la seguente avvertenza: il “twee” di TikTok non ha nulla a che vedere con la storia del Twee che abbiamo imparato a conoscere e ad amare, per quanto la parola in sé, storicamente, sia stata al centro di una storia ambivalente, di amore e odio da parte di tanti artisti da noi prediletti.
Care compagne e cari compagni, riponete i vostri preziosi vinili della Sarah Records e quella inestimabile e arrugginita “Pastels badge”: qui stanno parlando di Twee avendo in mente un account su Vestiaire Collective e scarpette basse di Kate Spade, e tutto quello che è successo prima di Myspace e Tumblr lo misurano in ere geologiche. Addirittura, la Deschanel (la quale pubblica dischi da oltre quindici anni e ha pure avuto in casa un certo Ben Gibbard) ha deciso di postare su TikTok un messaggio che recita: “I’d like to thank TikTok for teaching me what twee means”, senza che nessuno si sia sentito preso in giro.
Insomma, abbiamo la presunzione di affermare senza timore di smentite, anche a rischio di manifestare un contegno più pedante del solito, che Twee non è sinonimo del “twee” di passaggio su TikTok (e che scaturisce da un paio di fredde e fugaci analisi di trend), per quanto la visione di certi nostalgici outfit in polka dots ci facciano ancora mormorare “it hurts to see you dance so well” mordendoci le labbra.
Come è stato anche ricordato da Ian Wang sul Tribune, «twee - particularly in Britain - has a much longer and more complex political legacy, tied to punk, opposition to Thatcherism, and a fledgling attempt at carving out a socialist music culture». Se occorre, siamo qui a ribadire una volta di più che l’indiepop (di cui il Twee resta, in qualche complicata maniera, tuttora parte, filiazione o sfumatura) nasce in primo luogo come un momento di rottura e reazione, tanto a livello musicale quanto etico e politico. Si possono consigliare almeno un paio di bei libri, per esempio quello di Michael White (Popkiss: The Life and Afterlife of Sarah Records) o di Neal Taylor (C86 & All That: The Creation Of Indie In Difficult Times). Aiutano a riconoscere che l’indiepop non è un indovinato abbinamento di colori pastello e un cardigan della zia. Tra i suoi elementi primari ed essenziali, c’è una appassionata reazione al conformismo che aveva seppellito una certa spinta iniziale del Punk (reazione che aveva portato a riscoprire certe jangling guitars, tra le altre cose); c’è un’altrettanto convinta reazione al machismo, che da sempre ha afflitto gran parte della scena musicale (stampa compresa), con la condivisione di posizioni più sfumate o aperte o antagoniste; e c’è un’altrettanto vigorosa reazione alla meschinità del capitalismo, facendo di contro emergere tutta una nuova creatività DIY e la capacità di immaginare reti alternative. È quel celebre "it’s just POLITICS, not as some distant unreal end, but as something encaptured in everyday life" della compilation Shadow Factory che per noi risuona ancora oggi nella nostra musica. Con buona pace di quest’epoca di stylist, questo movimento non dura il tempo di una stagione, fino al prossimo cambio d’armadio. Il compianto Marc Spitz, nel suo brillante saggio Twee, ha tracciato una genealogia che vede nella Brooklyn hipster degli Anni Zero soltanto una tappa di un lungo percorso culturale che attraversa tutto il Novecento e giunge fino a noi. 
Care compagne e cari compagni: sapremo esserne degni eredi, oppure lo consumeremo per qualche content verticale di quindici secondi?

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