Qualche sera fa sono andato a vedere i Tiger! Shit! Tiger! Tiger! in concerto al Covo. C’era il release party del loro quarto album, Bloom, e non si poteva proprio mancare. Prima che salissero sul palco mi sono ritrovato a fare due chiacchiere a banco con Diego, il cantante della band di Foligno. Io arrivavo di corsa, direttamente dall’ufficio, ero un po’ distrutto ma molto contento di avere fatto in tempo; lui si era licenziato quello stesso giorno ed era decisamente di buon umore. È finita che abbiamo parlato tutto il tempo soltanto di lavori, fabbriche, colleghi, dell'arrivare a fine mese. La musica, in qualche modo, è rimasta un po' sullo sfondo. Non gli ho chiesto dettagli sul nuovo disco, non gli ho fatto domande su cosa è cambiato per loro in questi sette anni dal magnifico Corners, non sono entrato in quella innaturale modalità da intervistatore dilettante in cui spesso si cade scambiando due confidenze con chi suona. La musica, però, mi è sembrato che fosse al tempo stesso la vera cornice della nostra pur breve conversazione. Per quale scopo si perde tutto quel tempo continuando a fare per giorni e anni cose inspiegabili, dietro a una scrivania o dentro un capannone? Per avere soldi per pagare le bollette? Forse, certo, anche quello. Ma appena i T!S!T!T! sono saliti sul palco mi è sembrato chiaro che c'era qualcosa di più, che le cose che contavano davvero fossero altre, e che tutto quel correre e affannarsi trovava finalmente senso in faccia agli amplificatori che fischiavano, friggevano e si schiantavano.
Bloom è un disco diverso dal precedente, e appena attacca Memory avverti subito che il trio deve avere cambiato qualcosa nell'approccio al proprio suono: è come se inseguisse pesantezza e cupezza in ogni dettaglio proprio per affrontare di petto i propri demoni. Ogni elemento rallenta e trascina verso il basso, proprio per poter trovare la forza di risalire di slancio, con forza: vedi la tripletta centrale, tra la tortuosa Endless, la successiva, infiammata Empty Pool e la clamorosa Blanket, sorprendente ibrido di Cure e Sonic Youth.
Succede la stessa cosa durante il concerto: la prima parte della scaletta attraversa un magma di suoni torbidi, i ritmi sono bassi, ci si ostina dentro suoni spessi e soffocanti. Poi, a mano a mano che le nuove tracce si mescolano a quelle più vecchie e note (Teen Fever su tutte), è come se si scatenasse una reazione chimica ed esplosiva. I Tiger! Shot! Tiger!Tiger! sono da prendere così, tutti in blocco, con i loro fragori e le loro detonazioni ad alto volume.
La parola che si legge più spesso quando si parla del nuovo album Bloom è "grunge", e in effetti molti passaggi di questo disco sembrano nascere da quelle chitarre e da quel malessere, l'espressione più riuscita di una certa fatica di vivere tradotta in linguaggio rock. Ma d'altra parte sappiamo bene che ai Tiger piace da sempre giocare con l'elettricità, e Bloom conferma che su questo tema hanno oramai conquistato sul campo un'esperienza profonda come pochi altri.
Commenti
Posta un commento