Con tutti gli articoli su qualunque anniversario, e anche quelli sugli anniversari degli anniversari, che ogni giorno riempiono qualunque pagina di ogni testata musicale per il più insulso clickbait, mi ha sorpreso - e anche un po’ deluso - che nessuno abbia speso una parola per i vent’anni di When I Said I Wanted To Be Your Dog di Jens Lekman.
Mi manda un messaggio Nur mentre sto per correre in radio: “ehi, ma era il 7 aprile!”. Controllo al volo e faccio un giro su google e social: nulla. Deve proprio sembrare un fossile indecifrabile di un’epoca lontana che oggi non conta più, un ultimo emblema sdrucito di usi e costumi del vivere la musica che ormai hanno perduto significato.
Non sarò io a cercare di convincere chissà chi, parlando della meravigliosa scrittura del cantautore svedese, come se dovessi vendervela, o del suo commovente e sofisticato uso dei campionamenti all’interno del linguaggio indiepop, come se ne sapessi davvero qualcosa. Non sarò io a cantare ancora un tardivo elogio della monumentale ode alla fragilità, alla sincerità e all'amore che rappresenta questo disco. "When people think of Sweden, I think they have the wrong idea".
I ventennali, me ne rendo conto, sono un’occasione del tutto arbitraria, stereotipata e superflua: perché quel numero dovrebbe essere più importante dei diciotto o dei trentasette anni? Forse percepiamo il ventennale come la prima cosa più vicina a un salto di generazione, e crediamo di dovergli dare importanza. Sia come sia, i ventennali finiscono per essere quasi sempre l’occasione di bilanci e ricapitolazioni molto consolatori e molto autoreferenziali. Eccomi qui.
Ma io non ho bisogno di tutto questo: Jens Lekman suona ancora e suonerà per sempre come il tramonto fragoroso di quella sera d’estate nel bosco della contea di Kalmar, fermato in una foto perfetta dal mio amico Lucio. Non esistono tempo, decenni o compleanni quando un disco cattura quella luce, “the light by which I travel into this and that”, e quando le sue parole sono già le tue, perché “I was so in love I thought I knew what love was all about”.
Le canzoni di When I Said I Wanted To Be Your Dog hanno attraversato questi vent’anni, una minuscola frazione del tempo su questo malandato pianeta che galleggia a malapena nello spazio, ma sono proiettate nell’intero universo insieme a noi ogni volta che le ascoltiamo. Fanno bene i giornali a non parlare del ventennale di questo disco: vent’anni non sono che un attimo, per il nostro cuore di cane. You’re my friend.
Non sarò io a cercare di convincere chissà chi, parlando della meravigliosa scrittura del cantautore svedese, come se dovessi vendervela, o del suo commovente e sofisticato uso dei campionamenti all’interno del linguaggio indiepop, come se ne sapessi davvero qualcosa. Non sarò io a cantare ancora un tardivo elogio della monumentale ode alla fragilità, alla sincerità e all'amore che rappresenta questo disco. "When people think of Sweden, I think they have the wrong idea".
I ventennali, me ne rendo conto, sono un’occasione del tutto arbitraria, stereotipata e superflua: perché quel numero dovrebbe essere più importante dei diciotto o dei trentasette anni? Forse percepiamo il ventennale come la prima cosa più vicina a un salto di generazione, e crediamo di dovergli dare importanza. Sia come sia, i ventennali finiscono per essere quasi sempre l’occasione di bilanci e ricapitolazioni molto consolatori e molto autoreferenziali. Eccomi qui.
Ma io non ho bisogno di tutto questo: Jens Lekman suona ancora e suonerà per sempre come il tramonto fragoroso di quella sera d’estate nel bosco della contea di Kalmar, fermato in una foto perfetta dal mio amico Lucio. Non esistono tempo, decenni o compleanni quando un disco cattura quella luce, “the light by which I travel into this and that”, e quando le sue parole sono già le tue, perché “I was so in love I thought I knew what love was all about”.
Le canzoni di When I Said I Wanted To Be Your Dog hanno attraversato questi vent’anni, una minuscola frazione del tempo su questo malandato pianeta che galleggia a malapena nello spazio, ma sono proiettate nell’intero universo insieme a noi ogni volta che le ascoltiamo. Fanno bene i giornali a non parlare del ventennale di questo disco: vent’anni non sono che un attimo, per il nostro cuore di cane. You’re my friend.
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