I haven't said what I mean to say, haven't done what I mean to do

Friko - Where we've been, Where we go from here

Forse confondo le primavere viste passare fuori dal finestrino del treno, forse confondo le nuvole nere che sfiorano la Bassa verde e buia, le gocce che scivolano contro il vetro e le scintille d’incendio del disarmante tramonto che alla fine scappa fuori quando nessuno lo aspettava più. Forse la primavera era questa o forse era un’altra, ma la voce continuava a ripetere “I haven't said what I mean to say, I haven't done what I mean to do”.
Il treno correva e io stavo fermo a guardare, e in questi mesi in cuffia ascoltavo spesso i Friko, perché fa sempre bene tornare a chiedersi Where we've been, Where we go from here. Mi è sembrato di capire che per i Friko questa non è una domanda su cui soffermarsi troppo a riflettere: l'album di esordio della giovane band di Chicago, infatti, perferisce scaravantare tutto per aria, muoversi in ogni direzione nello stesso istante, è un'esplosione frenetica, trabocca di suono catartico e raggiante, si agita scomposto e cerca di trovare pace in ogni nuovo brivido. 
Nove canzoni di una bellezza viscerale, che ti saltano addosso con tutta la brutalità di chi ti ama e ha deciso di condividere con te ogni parte di sé: dall’indie rock infiammato di Crashing Through alla dolcezza per archi e pianoforte di For Ella; dalle scariche statiche che scuotono Crimson To Chrome alla resa dei conti finale di Cardinal; dalla incalzante e romantica Statues al post-punk rabbioso di Chemical, i Friko riescono a tramutare in una musica commovente, sincera e nuda tutta la carica melodrammatica della loro nervosa poesia e della loro ancora più inquieta ricerca.
È vero, lo hanno scritto ovunque: questo linguaggio è lo stesso che parlavano già band illustri come Modest Mouse, Bright Eyes e Broken Social Scene. I cori trascinanti, i versi memorabili, le chitarre portentose e poi all’improvviso il contrasto di sospensioni mozzafiato, silenzio brutale, melodie segrete, sussurri che confidano senza pudori, l’elettricità più detonante e il buio disperato. Qui c’è quella stessa tensione che strappa e fa a pezzi il cuore, che ti racconta quanto si senta fragile ma lo fa con una forza che ti stende. Eppure, Niko Kapetan e Bailey Minzenberger (anche componente dei Free Range), grazie all’urgenza dei loro vent’anni ritrovano quel linguaggio, quelle parole e quelle note vertiginosamente intatte, tanto appassionate da tornare nuove, come un abbagliante miracolo.





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