Darkness now sparkles and gleams

Martin Phillips - The Chills

Ho avuto la fortuna di vedere The Chills in concerto un paio di volte nella mia vita, all’Indietracks e al SXSW. Dico “fortuna” perché si è trattato di qualcosa che andava oltre la musica, oltre il concetto di “buona esibizione”. I Chills dell’ultima parte della loro carriera mi sono sembrati una band matura e onesta, con un repertorio di canzoni semplicemente invidiabile, e che sopra i palchi non si risparmiava un secondo. Ma i ricordi di quei due concerti mi sono cari a distanza di anni perché, nonostante il caos dei festival, percepivi nell’aria la tensione e la passione di quel momento in maniera differente. 
Per quanto fosse tragico ammetterlo e parlarne, non potevi dire con certezza che ci sarebbe stata una prossima volta, e dovevi ascoltare ogni nota e ogni parola e custodirla, e portarla con te perché era importante. Martin Phillips stava cantando lì per noi, per tutto quello che la sua musica aveva significato e rappresentato, e anche se io ci ero arrivato tardi e “di riflesso”, per tutto quello che la sua musica aveva significato e rappresentato per ogni altra band indiepop che amo.
Tutti lì davanti conoscevano bene il passato e la fragilità di Martin Phillips, le avversità e le sventure che aveva dovuto superare. Ma nessuno pensava che la sua figura si riducesse a quello, a due battute e un pettegolezzo da rock star di seconda categoria. Al contrario, quello che ci stava più a cuore erano stati il suo riscatto, la sua resistenza e la sua determinazione. La forza con cui era riuscito a trasportare la sua musica e la sua poesia per tutti quegli anni, da quella incredibile detonazione post-punk iniziale, Dunedin e tutte le altre leggende, fino a lì, al presente di noi ultimi arrivati, persi in mezzo alla campagna inglese o tra i mille sponsor senza anima del Texas. 
Al pari dei Clean e dei Verlaines, i Chills sono stati una delle band più importanti e influenti della label indipendente Flying Nun. La loro musica era complementare all’idea così caratteristica di quel sound neozelandese. I Chills aggiungevano il loro modo di essere malinconici ma storti, a volte euforici ma sempre con una punta di amarezza, le loro chitarre travolgenti e le loro sospensioni interrogative. Anche la canzone più celebre dei Chills, l’esuberante e immortale Heavenly Pop Hit, racconta la storia di qualcuno che, dopo avere superato pericoli e tenebre, viene attraversato e scosso da un suono che lo scaraventa a un nuovo livello di felicità. In un certo senso, così è stato per lo stesso Martin Phillips: i suoi Chills non sono rimasti "una band degli Anni Ottanta”, da semplice revival, e nell’ultimo decennio ci hanno regalato tre album fantastici come Silver Bullets (2015), Snow Bound (2018) e Scatterbrain (2021).
Sei stato un pioniere Martin, ma ci hai anche mostrato che quello non basta: bisogna essere capaci di continuare ad andare avanti, a volte nonostante sé stessi e la propria cosiddetta leggenda, continuare a essere ispirazione ed essere più forti del proprio passato. 
There’s a heavenly pop hit, if anyone wants it.

 


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