If we remember then it didn’t happen at all

THINK ABOUT YOU - DON''T DIE ON ME

Gli scherzi che la musica riesce a fare al nostro cervello impacciato sono per me sempre fonte di grande meraviglia. Canzoni vecchie di anni all’improvviso affiorano nitide al presente, mentre non ricordo nemmeno dove ho parcheggiato la macchina ieri sera. Oppure, dischi che ascolto per la prima volta oggi mi sembra che siano sempre stati lì, incastrati tra certi sentimenti e affetti, come se il tempo non li riguardasse.
A prima vista, Don't Die On Me è un bell'album di indie rock che parte da  suoni e atmosfere un po' Clap Your Hands Say Yeah, un po' Grandaddy e un po’ Violent Femmes, a volte accentuando un vago colore country, e in altri momenti rivelando un carattere più sinistro, in cui prevalgono il mistero e le sospensioni di certi Cure. Eppure, ti resta addosso l'impressione che i Think About You siano anche altro, familiare e al tempo stesso sfuggente, qualche cosa che forse non è stato del tutto trattenuto e catturato da queste canzoni. 
Forse è per via di quei testi surreali, elusivi e per me molto affascinanti (“if we remember then it didn’t happen at all”). Le storie di queste canzoni sono fatte di schegge sparpagliate e dissociate che ogni tanto, come miracoli non visti, si coagulano in racconti e immagini (il torrente in cui facevamo il bagno da ragazzi, la coppia che va a fare la spesa per placare certe nevrosi, le istantanee di un amore passato).
Ma ancora più a fondo, nei nervi e nella carne del suono dei Think About You, c'è un violino serpeggiante che può essere dolce, quasi romantico, oppure aspro e intransigente, nel volgere di pochi istanti. Un violino che precede o scorta ogni melodia, e che pur tagliando in due la musica sembra riuscire a esserne la più solida radice, l’albero maestro. E questo rende le canzoni dei Think About Me tutto il contrario di fragili o incerte. Non a caso, la band mette in chiaro che Don’t Die On Me è intende essere uno strumento per “recuperare e riconvertire il trauma. Drammi realmente vissuti vengono qui ricreati e trasformati attraverso un rumore distruttivo e riparatore”.
In generale, il quartetto australiano sembra avere idee chiare e, soprattutto, molto interessanti. Il loro track-by-track su Milky è uno dei più divertenti e stimolanti che mi sia capitato di leggere negli ultimi tempi, capace di tenere assieme raffinate ispirazioni letterarie, fulminante talento narrativo e una sottile ironia. 
Infine, l’accurata e rispettosa annotazione nei credits, secondo cui questo disco è stato scritto e registrato in terre del popolo Wurundjeri della Nazione Kulin, “che sono sempre state e per sempre saranno terra aborigena”, mi rende i Think About You ulteriormente simpatici. 
“It's crazy to sing / hold my hand / hold my hand…”


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