Qualcosa di incrollabile, intramontabile, dentro e, al tempo stesso, la profonda consapevolezza che tutto dura soltanto un attimo; la convinzione di una coerenza che ci tiene ancora in piedi ma che sbatte ogni giorno contro gli scogli del “this too shall pass” eccetera. Deve esserci qualcosa di questa frizione, di questa disparità, alla base dell’ostinazione ad amare ancora l’indiepop nel 2025.
Ecco, trovare nel 2025 un album indiepop capace ancora di emozionare senza sembrare un mero esercizio nostalgico è davvero un piccolo prodigio. The Laughing Chimes, con il loro secondo LP Whispers in the Speech Machine, riescono a compiere quel prodigio e lo fanno con un’autorevolezza sorprendente. Se il loro esordio In This Town del 2020 era un brillante omaggio al jangle pop più solare e lieve, questa volta i fratelli Evan e Quinn Seurkamp, da Athens, Ohio, vira verso tonalità più cupe e una produzione più stratificata, senza perdere la grazia melodica che li aveva già contraddistinti
Il disco si apre con Atrophy, che segna subito il cambio di registro: le chitarre rimangono cristalline e avvolgenti, ma la voce sembra più distante, immersa in un riverbero in qualche modo più tenebroso che aggiunge un tocco di malinconia. Si intuisce presto che le influenze nella scrittura delle canzoni si sono ampliate, e accanto ai più immediati riferimenti al college rock americano emergono richiami ai Cure più melodici e agli Echo & The Bunnymen, ai Church e agli Psychedelic Furs. He Never Finished the Thought mescola una partenza avvolta nei feedback con una melodia ariosa, dove la parte da protagonista la fanno gli strati delle chitarre. Sulla stessa linea possiamo raggruppare altre canzoni come A Promise To Keep, venata da una sottile tensione, e la ancora più fragorosa Fluorescent Minds. In scaletta ci sono poi momenti più leggeri, come l’incalzante singolo Cats Go Car Watching, agrodolce e molto R.E.M., oppure High Beams, decisamente la canzone più luminosa e primaverile del disco.
Il disco si apre con Atrophy, che segna subito il cambio di registro: le chitarre rimangono cristalline e avvolgenti, ma la voce sembra più distante, immersa in un riverbero in qualche modo più tenebroso che aggiunge un tocco di malinconia. Si intuisce presto che le influenze nella scrittura delle canzoni si sono ampliate, e accanto ai più immediati riferimenti al college rock americano emergono richiami ai Cure più melodici e agli Echo & The Bunnymen, ai Church e agli Psychedelic Furs. He Never Finished the Thought mescola una partenza avvolta nei feedback con una melodia ariosa, dove la parte da protagonista la fanno gli strati delle chitarre. Sulla stessa linea possiamo raggruppare altre canzoni come A Promise To Keep, venata da una sottile tensione, e la ancora più fragorosa Fluorescent Minds. In scaletta ci sono poi momenti più leggeri, come l’incalzante singolo Cats Go Car Watching, agrodolce e molto R.E.M., oppure High Beams, decisamente la canzone più luminosa e primaverile del disco.
In apparenza, Whispers in the Speech Machine non arriva alla mezz’ora di musica, ma nella sua concisione racchiude una quantità di idee davvero notevole e sorprendente, qualcosa che ti porta a dire che l’indiepop – quando sa interpretare la lezione del passato e riproporla con nuova energia – ha ancora posto nel presente, continuando ostinatamente a farci innamorare di questo suono.
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