Chitarre scintillanti, suono in equilibrio tra indiepop e influenze un po’ più cupe e shoegaze, melodie sempre sul punto di abbandonarsi alla malinconia: un album come Bowerbirds and Blue Things, il nuovo lavoro dei Jetstream Pony, sembra perfetto per colpire al cuore chi è cresciuto tra flexi-disc, compilation della Sarah Records e sabati pomeriggio nel negozio di dischi preferito, a scovare sette pollici impolverati. Se soltanto questo qualcuno esistesse ancora.
Siamo subito pronti a evocare nostalgie fuori stagione, un passato ormai sempre più vago, l’epica un po’ sciupata di chi resta ai margini, e quello sguardo un po’ disilluso, a metà strada tra l’adolescenza e un’età adulta ancora tutta da decifrare, in cui si identifica chi colleziona fanzine e indossa ancora spillette di gruppi nonostante i capelli bianchi.
Ma l’indiepop non è nato per essere consolatorio e rassicurante, non ha mai voluto essere cool, nemmeno nel senso di una coolness di ripiego, orgogliosamente chiusa, sfuggente e irriducibile. L’indiepop ha sempre parlato d’amore a viso aperto, ha fatto dell’inadeguatezza e della fragilità la parte fondamente della sua sincerità disarmante. Mentre il mondo intorno è cinismo, posa e ironia a tutti i costi, l’autenticità di una band come i Jetstream Pony suona più punk di mille altri nomi che girano sulle copertine.
Come ricordiamo a ogni nuova uscita, i Jeatstream Pony sono una specie di supergruppo Made In UK, che può contare su Beth Arzy (The Luxembourg Signal / Trembling Blue Stars / Aberdeen e altri…) alla voce, Shaun Charman (The Wedding Present / The Popguns / The Fireworks) alla chitarra e voce, Kerry Boettcher (Turbocat) al basso, Tom Levesley alla batteria, a cui si è aggiunto anche Mark Matthews (The Dentists / The Treasures Of Mexico) alla chitarra. Ma un gruppo non è soltanto la somma delle sue parti. Potremmo citare Heavenly o Primitives per parlare di canzoni come Bubblegum Nothingness oppure Sit and Wonder. Potremmo anche notare che nei momenti più shoegaze sanno spaziare dal tono minore di Tendrils alle atmosfere più sognanti di Bad Common Earth Connection. Oppure potremmo sorprenderci di come The Relativity of Wrong riesca a virare verso una sfumatura morbida di post-punk, con il featuring di Eleni Poulou, già componente dei The Fall.
Alla fine, l’unica cosa che conta, tra cadenze notturne e carezze agrodolci, è quella sensazione che i Jetstream Pony non stiano suonando soltanto per ricordare o per rievocare, ma per ridefinire, per dare nuova energia, per lasciare esplodere – pure con maggiore maturità e consapevolezza – tutta l’inquietudine che anche l’indiepop si porta dentro e che, oggi più che mai, abbiamo ancora bisogno di esprimere.
Ma l’indiepop non è nato per essere consolatorio e rassicurante, non ha mai voluto essere cool, nemmeno nel senso di una coolness di ripiego, orgogliosamente chiusa, sfuggente e irriducibile. L’indiepop ha sempre parlato d’amore a viso aperto, ha fatto dell’inadeguatezza e della fragilità la parte fondamente della sua sincerità disarmante. Mentre il mondo intorno è cinismo, posa e ironia a tutti i costi, l’autenticità di una band come i Jetstream Pony suona più punk di mille altri nomi che girano sulle copertine.
Come ricordiamo a ogni nuova uscita, i Jeatstream Pony sono una specie di supergruppo Made In UK, che può contare su Beth Arzy (The Luxembourg Signal / Trembling Blue Stars / Aberdeen e altri…) alla voce, Shaun Charman (The Wedding Present / The Popguns / The Fireworks) alla chitarra e voce, Kerry Boettcher (Turbocat) al basso, Tom Levesley alla batteria, a cui si è aggiunto anche Mark Matthews (The Dentists / The Treasures Of Mexico) alla chitarra. Ma un gruppo non è soltanto la somma delle sue parti. Potremmo citare Heavenly o Primitives per parlare di canzoni come Bubblegum Nothingness oppure Sit and Wonder. Potremmo anche notare che nei momenti più shoegaze sanno spaziare dal tono minore di Tendrils alle atmosfere più sognanti di Bad Common Earth Connection. Oppure potremmo sorprenderci di come The Relativity of Wrong riesca a virare verso una sfumatura morbida di post-punk, con il featuring di Eleni Poulou, già componente dei The Fall.
Alla fine, l’unica cosa che conta, tra cadenze notturne e carezze agrodolci, è quella sensazione che i Jetstream Pony non stiano suonando soltanto per ricordare o per rievocare, ma per ridefinire, per dare nuova energia, per lasciare esplodere – pure con maggiore maturità e consapevolezza – tutta l’inquietudine che anche l’indiepop si porta dentro e che, oggi più che mai, abbiamo ancora bisogno di esprimere.
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