"Un adolescente innamorato, anche quando adolescente non lo sei più"

The Pains of Being Pure at Heart - Miami Festival - Rockit

Oggi si parte per Milano, direzione Miami Festival, come se fossimo ancora adolescenti pieni d'entusiasmo. E in effetti, almeno un po', andiamo a rendere omaggio agli adolescenti pieni d'entusiasmo che siamo stati, e che in qualche modo ci hanno permesso di arrivare fino a qui. Andiamo a sentire i Pains of Being Pure at Heart che stanno portando in giro il concerto-anniversario del loro fragoroso album d'esordio. Sotto al palco sarà anche un po' anche il nostro anniversario, dei nostri cardigan e delle nostre serate a ballare abbracciati.
Se vi capita di passare dalle parti dell'Idroscalo, nel magazine di Rockit che viene distribuito al festival trovate anche una paginetta scritta a quattro mani da Nur Al Habash e me per provare a raccontare quanto sia importante questa band e questo concerto. 
Lo stesso Rockit ha poi promosso una compilation tributo (in due parti) in cui una serie di band italiane suonano cover dei Pains, e ci sono delle belle sorprese, soprattutto tra quelle più giovani.
Invece, sul sito di Rockit è uscita un'intervista a Kip Berman davvero bella e personale curata da Luca Lovisetto dei nostri Baseball Gregg. Se amate l'indiepop, se l'avete amato, o anche soltanto siete curiosi di una stagione lontana in cui l'indiepop sembrava contare qualcosa nelle nostre vite, penso sia una lettura imprescindibile.
Luca mi ha regalato questo testo che è un po' il prequel di quell'intervista, un racconto in cui riconosco un'epoca, le strade, un suono e, da qualche parte sullo sfondo, anche me stesso e tutti noi, improbabili puri di cuore, innamorati di quella musica. 

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The Pains of Being Pure At Heart
Il mio primo incontro con i Pains of Being Pure at Heart è stato quasi un incidente. Novembre 2010, avevo diciott’anni e andavo al Covo ogni weekend come si va in chiesa ogni domenica. Ero ancora accecato perché qualche giorno prima in viale Zagabria avevo visto Beach Fossils e The Drums, e i Pains erano soltanto un altro nome dentro un cartellone pieno di gruppi americani con le chitarre riverberate e il cuore rotto. Ricordo la sala buia e umida e la fila fuori sul prato per fare il biglietto (all’epoca non c’erano le prevendite), ma per qualche motivo quel live l’ho dimenticato. Forse non ero pronto.
Poi, un paio di anni dopo, la scintilla. Su Pitchfork leggo che i Red Hot Chili Peppers pubblicano un EP per l’induzione nella Rock and Roll Hall of Fame, con dentro una cover di Teenager in Love. È un brano dei Dion and the Belmonts che conosco bene - qualche tempo prima avevo attraversato la mia fase vocal quartets degli anni Cinquanta. Incuriosito, vado su YouTube a sentirla. Nei video correlati, come un fantasma riemerso dal passato, c’è A Teenager in Love dei Pains. La metto su come se la ascoltassi per la prima volta. E lì succede qualcosa.
In quella tab di Safari era come se avessi improvvisamente trovato una Stele di Rosetta per tradurre il mio stato d’animo, una chiave di lettura per accettare quella sensazione di sospensione dei vent’anni, mentre tentavo di studiare medicina, provare a fare musica con la mia prima band, e tenere insieme una vita non più adolescente che mi sembrava già troppo confusa. Leggo il testo e quel disorientamento, quello spaesamento, quel gusto un po’ assurdo per l’esasperazione e il drammatico sembra proprio roba mia. E all’improvviso li ricordo: quei ragazzi di Brooklyn visti al Covo due anni prima. Era come se mi avessero aspettato. Corro al Disco d’Oro a comperare il loro CD, Kip e soci entrano presto a far parte dell’heavy rotation del mio iPod.
Passano altri due anni e nel 2014, l’anno in cui conosco Sam e fondiamo assieme i Baseball Gregg, i Pains tornano di nuovo nella mia vita. Quell’estate vado al loro concerto all’Hana-bi di Marina di Ravenna: sempre lì, in spiaggia, pochi giorni prima lì avevo visto i Neutral Milk Hotel. In apertura ai Pains suonano i Fear of Men, e mi innamoro della loro Descent. La cantante poi sale sul palco e scopro che è anche la tastierista dei Pains per quel tour. Qualche mese dopo la nostra etichetta - la Barberia Records - ci chiede di aprire il concerto dei Fear of Men a Carpi. A fine live del concerto al Mattatoio, ricordo, ci siamo scambiati le rispettive cassette con Jessica. 
Un anno dopo, anche i Pains devono suonare al Mattatoio. Mi faccio coraggio e scrivo su Facebook a Kip per chiedere se possiamo aprire anche la loro data - purtroppo non se ne fa nulla.
Nel 2018, la chiusura del cerchio. In quegli anni lavoravo al pomeriggio a Radio Città del Capo. I Pains passano da Bologna per suonare al Locomotiv Club. Invito Kip a venire in radio. Accetta. Arriva con la sua calma gentile e mi racconta che vuole prendersi una pausa dalla band. È diventato padre, sua figlia è la priorità. Mi parla di un nuovo progetto: si chiamerà The Natvral, sarà un omaggio acustico al folk di Dylan e suonerà in solo. Qualche mese dopo, quando esce l’album, lo vedo: in copertina c’è una sua foto, seduto su un pedalò, e riconosco la battigia di Marina di Ravenna. Lo stesso luogo dove lo avevo ascoltato quattro estati prima. Dopo il concerto al Locomotiv ci incontriamo davanti al furgone e mi regala una maglietta: anzi, me la sta per regalare, ma arriva Giovanni "Uda" Gandolfi e ne vuole una anche lui. È rimasta l’ultima nello scatolone del tour e gliela lascio. 
Kip è stato, per me, un faro silenzioso. Dal punto di vista musicale, è una delle principali influenze della mia scrittura - il primo a darmi il permesso implicito di scrivere musica triste con arrangiamenti indiepop felici, e di parlare di dolcezza senza ironia. Di essere un adolescente innamorato, anche quando teenager non lo sei più.

Luca Lovisetto (Baseball Gregg)


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