(È da due giorni che aspetta, ‘sto povero pezzo… e quasi gli dispiace di coprire gli ultimi due, davvero belli).



Charlie don’t surf



Ho capito che bisogna andarci piano col cinema su polaroid, perché da qualche parte nella boscaglia c’è sempre Jonathan in agguato.

D’altro canto, se questo è l’unico modo per snidarlo, bisogna pure che qualcuno si sacrifichi, no? Vado io, che non ho famiglia.



(Comunque, J, secondo me l’ambiente è determinante. Mi spiego: un film “girato” a 7 Euros al Principe in inverno può crescere in qualità, e diventare un film “ben girato” a 4 Euros al Supercinema Estivo. Basta aver pazienza…)



Beh, ieri sera ho visto un bel film, si chiamava Apocalypse now… anzi, come dice quel tipo in un fumetto di Pazienza, “Apocalips’ nau: regia di Francis Ford Coppola, musiche dei Doors!”.

E di colpo ho colmato due o tre buchi della mia cultura generale.



Per esempio, adesso so perché i Clash cantavano Charlie don’t surf: citavano Apocalypse Now.



E so anche perché tutti i cattivi di DylanDog e NathanNever ripetevano sempre come degli ossessi “L’orrore…l’orrore”: citavano Apocalypse Now.



E forse ho capito meglio perché gli americani stanno sempre meno simpatici alla gente. Non è una questione di guerre. Quelle le hanno sempre fatte. Ma una volta le facevano in maniera più umana. Che non vuol dire meno cruenta.

Erano più cialtroni, con qualche sprazzo di genialità. Kurtz in mezzo a un branco di serfisti in acido che sparano napalm e credono di essere a disneyland. Potevi criticarli, anche odiarli, ma sentivi di odiare te stesso. Non ci siamo sentiti tutti in colpa per aver sterminato gli indiani?



Stessa cosa con il cinema: sempre un po’ cialtroni, magari facevano il passo più lungo della gamba, (come Coppola che dovette ipotecare la casa) ma gli poteva anche uscire un capolavoro.

Adesso no, adesso fanno tutto in maniera così intelligente… hanno eserciti di consulenti che staccano fior d’assegni per dirti cos’è giusto e cos’è sbagliato… fanno ricerche di mercato, individuano il target, poi bombardano a tappeto… nel senso del marketing… ma anche in guerra è la stessa cosa.



Si stanno un po’ germanizzando, ecco. Gli è presa la smania delle blitzkrieg. E non si divertono più, e si vede. E non sono più simpatici a nessuno. Magari gli diamo anche ragione: gli hanno tirato giù le torri, gli avvelenano la posta… Magari mettiamo anche la bandierina stelle e strisce sul balcone. Però il nostro cuore è altrove, anzi è smarrito, non abbiamo voglia di vedere il film in tv, né di andare al cinema perché sappiamo già che il prossimo film di Bruce Willis o Nicholas Cage sarà l’ennesima stronzata.

Perciò il breve incontro tra Sheen e Harrison Ford all’inizio assume un aspetto simbolico, straziante.



“Ciao, giovane Ford”, sembra dire l’attonito protagonista. “tu mi guardi, sorridi e non sai quello che ci aspetta. Ma davanti a te c’è Guerre Stellari, che farà di te il più grande interprete di puttanate hollivudiane, un genere che cambierà l’immaginario del mondo. Io non ci sarò: sto per salpare verso il cuore di Tenebra; quando riemergerò nessuno si ricorderà di me, a parte qualche particina: andrò a fare il sindacalista. Stammi bene, giovane Ford. Mi ricordi una lumaca che striscia sul rasoio”.



(Su un “Diario della Settimana” una bella intervista a Vittorio Storaro, direttore della “cinematography. Non posso lincarlo perché non è ancora on line, mi spiace. Se fosse aggiornato, Diario sarebbe il più bel sito d’Italia).



Martin Sheen è effettivamente il portavoce del sindacato attori americano.

E questo mi ricorda un altro grande attore che si è trovato un bel mestiere: Charlton Heston, ex Ben Hur e Mosè, oggi segretario della lobby americana delle armi. Quella che impedisce qualsiasi legislazione restrittiva sul porto d’armi, così che qualsiasi adolescente può trovare il modo di sterminare la classe con un fucile a ripetizione, se gli gira (in Italia, dove c’è il porto d’armi, al massimo puoi accoltellare i parenti).

Vabbe’, ognuno ha le sue opinioni.

Però ogni tanto continua a fare l’antico mestiere, con la consueta professionalità. Per esempio, stavano facendo un film sull’anziano dottor Mengele in esilio in Sudamerica, e nessun attore tedesco voleva la parte. Poi hanno chiesto a Charlton, e pensa un po’, a lui interessava.

Qualsiasi ironia a questo punto cadrebbe male, per cui stop.

Bene così?

Aspetto la zampata.

L’orrore…



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