E così anch’io ho visto Amelie, il film più commentato dai bloggers. E ora non mi tiro certo indietro.
Devo ammettere che ero entrato nel cinema con tutti i più scontati pregiudizi. Del resto, non era difficile dividere il numeroso pubblico in due categorie: quelli che ridevano qualunque cosa succedesse (forse nel timore di lasciarsi sfuggire qualche segnale di auto-meta-ironia di Jean-Pierre Jeunet: “oh, uno che ha fatto Delicatessen non può mica essere così facile”), e quelli che invece erano del tutto coinvolti emotivamente, finalmente lieti di assistere alla trasposizione cinematografica dei loro diari liceali ipercolorati, straripanti di adesivi e disegni e scritte con le freccine: qui poi si animavano anche gli animali sul comodino, sai che carino!
Non mi pare che Amelie abbia cambiato la mia vita (è triste ammetterlo? sono un insensibile?) e sarei propenso a dire che non cambierà nemmeno la storia del cinema (ma attendo dotte smentite).
Però è davvero un bel film, godibile, elegante (pure troppo, viste le accuse politiche che si è beccato in Francia), divertente e sentimentale nelle giuste proporzioni (se questa mattina mi sono scaricato pure il valzer per ricordarmi il passo di danza con cui tutti uscivano sorridendo dalla sala, ci sarà un motivo).
Peccato, forse, per il lavoro degli uffici stampa: esasperato, sovradimensionato, mollichiano ai limiti. Voglio dire: persino io che non possiedo un televisore, che preferisco leggere Leonardo invece di Repubblica, sapevo che questo era il film di cui si doveva parlare questa settimana. (Quasi) ogni immagine arrivava “già vista”, ogni sguardo in camera della dolcissima Audrey Tatou finiva per essere una citazione, il trailer di una pubblicità di sé stessa (e i primi piani delle scarpe? e l'hair style? uh, così francese!)
Qualche PR sarà soddisfatto della sua opera: io sono soltanto un po’ scettico circa lo sforzo che sarà necessario compiere per andare al cinema la prossima volta, per crederci ancora. Forse non è un caso che Amelie appartenga al genere favola. Hai voglia di stare ad ascoltare una favola, o preferisci andare a vedere quello che “non puoi proprio perdere”?
Devo ammettere che ero entrato nel cinema con tutti i più scontati pregiudizi. Del resto, non era difficile dividere il numeroso pubblico in due categorie: quelli che ridevano qualunque cosa succedesse (forse nel timore di lasciarsi sfuggire qualche segnale di auto-meta-ironia di Jean-Pierre Jeunet: “oh, uno che ha fatto Delicatessen non può mica essere così facile”), e quelli che invece erano del tutto coinvolti emotivamente, finalmente lieti di assistere alla trasposizione cinematografica dei loro diari liceali ipercolorati, straripanti di adesivi e disegni e scritte con le freccine: qui poi si animavano anche gli animali sul comodino, sai che carino!
Non mi pare che Amelie abbia cambiato la mia vita (è triste ammetterlo? sono un insensibile?) e sarei propenso a dire che non cambierà nemmeno la storia del cinema (ma attendo dotte smentite).
Però è davvero un bel film, godibile, elegante (pure troppo, viste le accuse politiche che si è beccato in Francia), divertente e sentimentale nelle giuste proporzioni (se questa mattina mi sono scaricato pure il valzer per ricordarmi il passo di danza con cui tutti uscivano sorridendo dalla sala, ci sarà un motivo).
Peccato, forse, per il lavoro degli uffici stampa: esasperato, sovradimensionato, mollichiano ai limiti. Voglio dire: persino io che non possiedo un televisore, che preferisco leggere Leonardo invece di Repubblica, sapevo che questo era il film di cui si doveva parlare questa settimana. (Quasi) ogni immagine arrivava “già vista”, ogni sguardo in camera della dolcissima Audrey Tatou finiva per essere una citazione, il trailer di una pubblicità di sé stessa (e i primi piani delle scarpe? e l'hair style? uh, così francese!)
Qualche PR sarà soddisfatto della sua opera: io sono soltanto un po’ scettico circa lo sforzo che sarà necessario compiere per andare al cinema la prossima volta, per crederci ancora. Forse non è un caso che Amelie appartenga al genere favola. Hai voglia di stare ad ascoltare una favola, o preferisci andare a vedere quello che “non puoi proprio perdere”?
Commenti
Posta un commento