Vado a cambiare i punti di riferimento



Questa sera (fin troppo facile dirlo adesso) non avevo voglia di scrivere nulla, un po' perchè ero stanco, un po' perché non avevo nulla da dire, se non l'usuale girotondo estetizzante di parole e citazioni in cui cadi dopo che ti è capitato di vedere Arbasino (questa volta nella bella cornice dell'Aula Absidale) replicare l'ennesima identica conferenza di se stesso, un po' perché non so davvero cosa sta succedendo nel mondo reale.



Poi non avrei voluto scrivere nulla che coprisse subito il bel post di Jonathan, qui sotto. Sarebbe stata la seconda volta. Ma si vede che abbiamo degli strani ritmi, qui su Polaroid. O forse degli strani lavori (e non è vero, Leonardo, rimpianti e tutto il resto: ma va là, qui c'è bisogno ancora di te, e anche un sacco).



Forse avrei voluto scrivere qualcosa soltanto per rispondere a Madame Defarge, al suo duro pezzo che chiedeva "dov'eri tu?": mi perdoni, Madame, so che lei ha ragione (in generale - o quanto può essere generale l'etica) e ha anche ragioni (nei numeri, nei fatti, nella dura pasta del mondo).

Eppure, sento che come altre volte è stato necessario ripetersi "non facciamoci mettere le parole in testa", per riuscire ad ascoltare le proprie parole e anche quelle degli altri, così questa volta mi veniva spontaneo dire "non facciamoci mettere tutti nello stesso posto", che quel dove non può essere lo stesso per tutti.

Sì, qualcuno magari era innamorato, qualcuno era depresso, distratto, qualcuno proprio non sapeva nulla e non gli piaceva chi gli voleva insegnare tutto, qualcuno banalmente non aveva le forze, qualcuno era a Pisa. Insomma erano tutti da tante parti, e non potevano tutti mollare ogni cosa per farne solo una ma tutti assieme.

So bene che lei voleva dire qualcosa di molto meno grossolano, e proprio per questo le scrivo queste parole, Madame: perché so che il suo linguaggio sa essere più forbito e più tagliente, più preciso, allenato com'è dai salotti illuministi e dai vicoli di Parigi dove ha camminato sotto chissà quale travestimento.



E se fossi stato di buonumore avrei scritto anch'io qualcosa sulla Tobin Tax sul linguaggio dell'economia (se si può ancora chiamare così). Sarei partito da questo articoletto sul Sole-24Ore, niente di importante, un commento a lato della pagina, tanto per segnalarvi le espressioni "l'appetitoso bottino potenziale" (cioè i 500 milioni di euro dei risparmi degli italiani "colpevoli" di non essere investiti), o "l'evoluzione darwiniana del sistema bancario" oppure il "click puro" della finanza on line. Altro che Tobin, questo è Dante, questo è Celine.



Ma, davvero, questa sera m'importa altro. Questa sera l'ultima polaroid è per l'Ingegnere sotto tesi, penso a lei chiusa nel laboratorio in cima alla collina da sola (la polizia viene a controllare perché mai c'è ancora la luce accesa), e che mi dice "ciao, adesso vado a cambiare tutti i punti di riferimento" e io, che fino a quel momento assoluto credevo di avere avuto una serena giornata inutile, rimango col telefono in mano, cercando di imparare a memoria la frase e la voce, pensando che forse gli ingegneri meritano sempre l'ultima parola.



Buonanotte Ellegi, Pesta Duro! questo è il momento :-)



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