A proposito di lavoro (e di libri)



Sabato scorso su Tutto Libri, l’inserto de La Stampa, c’era una lunga e minuziosa inchiesta di Marco Belpoliti intitolata "IL ROMANZO CO.CO.CO." che si poneva come obiettivo analizzare il recente romanzo italiano dal punto di vista del mondo del lavoro.

Non so se mi sento d’accordo con tutte le sue conclusioni (che qui tralascio, insieme all’elenco di una decina d’anni di titoli) sul postfordismo e sul post-umano (sic!), ma la parte di indagine mi sembra molto interessante (e mi ricorda certe cose che diceva Leonardo già diversi anni fa).

Ecco una (non troppo riuscita, a dire il vero) sintesi:





«Classificare i personaggi dei romanzi italiani sulla base del lavoro è davvero difficile.



[...] Nessun operaio, manovale o muratore, pochi, pochissimi impiegati, qualche tecnico informatico, o più spesso giovani appassionati di computer e fanatici di videogiochi (ma sono passatempi, non lavori; oppure hobby che si trasformano ben presto in lavori). I giovani che vivono e lavorano nelle pagine dei romanzi contemporanei non sembrano ancora conoscere la condizione dei "lavoratori interinali". Tuttavia se si dovesse sistemare il tetto, riparare la lavatrice, aggiustare una caldaia o tirare su un muro ricorrendo ai personaggi dei romanzi italiani dell'ultima e penultima stagione letteraria, staremmo freschi.



Nessuno o quasi è un lavoratore dipendente, nel senso tradizionale del termine, sebbene pochi romanzi o racconti presentino personaggi che svolgono lavori part-time o una "collaborazione coordinata e continuativa" (Co-co-co), come si dice oggi. Aumentano invece i disoccupati, categoria di ferro del romanzo italiano giovane. Nessuno è un membro del cosiddetto "popolo dell'Iva", assenti gli artigiani, gli avvocati e i commercialisti (ma ci sono sempre i medici di provincia).



[...] La classe operaia è completamente scomparsa o, se c'è, non si vede. Non è forse un caso che la letteratura contemporanea ignori la condizione fisica del lavoro e i suoi spazi: fabbrica, laboratorio, officina. [...] Il lavoro è sempre più frammentato. Non esiste più il mestiere che si impara attraverso un lungo apprendistato in cui l'anziano consegna ai giovani, con fatica e dopo molte resistenze, i rudimenti e i segreti della propria professione. Nella vita quotidiana nessuno deve più dimostrare competenza e bravura attraverso il "capolavoro" per essere assunto. Dagli Anni Sessanta ad oggi il lavoro manuale è stato via via assorbito dalle macchine, e la grande fabbrica sostituita dalla "fabbrica diffusa" del decentramento produttivo.



E quando la crescita impetuosa degli Anni Ottanta e la crisi del decennio successivo hanno imposto all'industria drastici cambiamenti tecnologici e produttivi, il lavoro operaio è emigrato fuori dai confini del nostro paese, verso l'Asia o i paesi dell'Est europeo. L'informatica e l'uso del personal computer hanno modificato i metodi e i sistemi di gestione del lavoro, cambiando anche la forma stessa dei luoghi, senza che questo venga registrato dalla maggioranza dei romanzi italiani (ci sono sempre le eccezioni: Tiziano Scarpa e Aldo Nove). La realtà è mutata così in fretta nell'ultimo decennio che gli scrittori hanno faticato a rendersene conto, oppure, al contrario, la considerano un fatto assodato che è inutile descrivere.



[...] In sostanza i personaggi dei libri degli scrittori sono scrittori, come nel volume claustrofobico di Ermanno Cavazzoni, Gli scrittori inutili (Feltrinelli) o l'ex magazziniere e traduttore tecnico Learco Ferrari, nevroticissimo e monomaniacale scrittore emiliano, alter ego dell'autore, Paolo Nori (con ormai quattro o cinque libri editi tra Fernandel ed Einaudi). Mentre le donne dei romanzi di autrici femminili sono madri, sorelle, figlie, partorienti (Silvia Balestra), quando non ex studentesse in crisi di identità o alla ricerca dell'illuminazione spirituale, o al massimo telefoniste di qualche call-center (magari erotico)...».





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