La prima Polaroid





Ho anche scattato una polaroid al pubblico un po’ timida per il timore di far troppo forte (la polaroid, mi sono accorta ieri, è molto rumorosa). Jonathan infatti suonava mentre ebi leggeva Ronde d’ete. Una poesia che era un quadro, in principio.


Nella foto, che è nera, si vedono solo un paio di luci in fondo e tre sedie vuote davanti.


Ma c’era tanta gente nella Corte della Rocca di Cento: le amiche immolate alla causa dell’amica che fa il saggio di fine anno, le amiche che con un eccesso di fiducia trascinano architetti troppo intellettuali e spossati per noi troppo timidi, le amiche che, nonostante tutto, ci credono e fiori a mezzanotte.


E così, in bilico tra la recita scolastica e la performance teatrale senza, of course, risolversi a prendere una posizione, dilettanti Zelda e Francis Scott da anni allenati nel lancio delle arance, il collettivo Polaroid ha fatto la sua prima apparizione, che ad ellegi, stanca e malandata, è parsa bella e ben riuscita.



Ad ellegi è piaciuto: il pubblico immerso nel buio, ebi con la maglietta rossa con le parole di qualcuno che fece cose sorelle a suo tempo mentre legge Abitudine e finitudine, Abitudine e Finitudine e la sambetta di Jonathan, la camicia azzurra del chitarrista new-age, e il chitarrista new-age che ripassa tra le volte a vela del sotterraneo, le bolle di sapone, le amiche fedeli vestite a festa, il tappeto cinese quando l’abbiamo steso e poi alla fine quando l’abbiam raccolto.


Ma soprattutto, che tutto quanto è un regalo per ellegi, temporaneo e permanente insieme, dell’altra metà della redazione. Un regalo che si costruisce e si perfeziona, assieme, la redazione tutta, al gran completo.



Poi, tornati a casa, ellegi convalesceva stordita e nella sua testa era fissa ancora la full color palette di un cubo di Rubik irrisolto e gigante.

E nelle orecchie o meglio ancora nel naso: L’odore dei tigli. In un’altra città.



Grazie al chitarrista new-age con la camicia azzurra.

E grazie ebi.

Alla prossima?



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