Black candies: pink ladies
Meno imbarazzante del previsto considerate le chiacchiere intercorse tra i ragazzi di Glamorama in un epoca ingenuamente pre-atlantide, stanza soccoritrice di infrasettimana già tiepidi di lavori incerti e cieli tersi. Ed erano ancora quei vecchi tempi in cui si ragionava di Covo club pel uichend e che sembra adesso, manco a dirlo, se non diecianni fa, molto di più che la settimana scorsa. E adesso che il mercoledì sera non esistono scuse per sottrarsi alle lusinghe del distretto dell'Arci, si traghettano le stanche membra per la pianura distesa e infinita unico spazio in cui, il profilo concreto dell'alta velocità, stagliandosi possente nel bagno di luna, sembra stonehenge.
Nei dintorni, come ovvio, tutto tace. E si badi, che non si avverte altro confine, se non il fronte d'onda delle frequenze disturbate nel passare da radio città ad antenna1.
La zona artigianale e/o florilegio di villette schierate le une accanto alle altre, teoria e labirinto di cancelletti, loggette, fili, macchinine nasconde sempre il club per il nostro nightclubbing emiliano.
Mercoledì sera al Dude di Soliera.
Il Dude è un locale in corsivo che ricorda tutto assieme la copertina del disco di L'altra, le feste nella palestra del liceo, le torte al cioccolato, le migliori birre senza schiuma dei festival dell'unità. Al Dude ci sono più macchine per la spina che gente, un banchetto del merchandising in cui volendo si può tranquillamente passare mezz'ora e congedarsi in maniera del tutto gratuita con un incantevole oggetto da aggiungere al florilegio di poster delle nostre stanzette, innumerevoli chris martin accompaganti da svariate chloe sevigny, e sosia di tour manager in veste di amici.
Al Dude suonano le black candy e pure loro c'hanno una sosia di katherine keener, simpatiche e polistrumentiste figlie di Calvin Johnson, frutti e posticipazioni culturali dell'indie rock in generale, indennizzate dal più incantevole accento modenese in falsetto mentre parafrasano gli halo benders con incommensurabile grado di autoironia, che non smetti di sorridere manco se vuoi, touch my bikini, ah-ah, indie rock is like pornography in a way, eh-eh.
E poi ci sono i red worms' farm che sono grandiosi nonché belllissimi uomini da palco, fragorose le chitarre e la batteria, il torace e le braccia, la voce contorno di uno strumentale densissimo e spossante.
Ma a mezzanotte per noi indie-cenerentole (innamorate del chitarrista, il biondo che tace) lo sbadiglio attanaglia il piglio poco prima ciarliero e entusiasta e si torna al traghetto, alla pianura, al brusio lento delle stazioni radiofoniche alla notte.
Meno imbarazzante del previsto considerate le chiacchiere intercorse tra i ragazzi di Glamorama in un epoca ingenuamente pre-atlantide, stanza soccoritrice di infrasettimana già tiepidi di lavori incerti e cieli tersi. Ed erano ancora quei vecchi tempi in cui si ragionava di Covo club pel uichend e che sembra adesso, manco a dirlo, se non diecianni fa, molto di più che la settimana scorsa. E adesso che il mercoledì sera non esistono scuse per sottrarsi alle lusinghe del distretto dell'Arci, si traghettano le stanche membra per la pianura distesa e infinita unico spazio in cui, il profilo concreto dell'alta velocità, stagliandosi possente nel bagno di luna, sembra stonehenge.
Nei dintorni, come ovvio, tutto tace. E si badi, che non si avverte altro confine, se non il fronte d'onda delle frequenze disturbate nel passare da radio città ad antenna1.
La zona artigianale e/o florilegio di villette schierate le une accanto alle altre, teoria e labirinto di cancelletti, loggette, fili, macchinine nasconde sempre il club per il nostro nightclubbing emiliano.
Mercoledì sera al Dude di Soliera.
Il Dude è un locale in corsivo che ricorda tutto assieme la copertina del disco di L'altra, le feste nella palestra del liceo, le torte al cioccolato, le migliori birre senza schiuma dei festival dell'unità. Al Dude ci sono più macchine per la spina che gente, un banchetto del merchandising in cui volendo si può tranquillamente passare mezz'ora e congedarsi in maniera del tutto gratuita con un incantevole oggetto da aggiungere al florilegio di poster delle nostre stanzette, innumerevoli chris martin accompaganti da svariate chloe sevigny, e sosia di tour manager in veste di amici.
Al Dude suonano le black candy e pure loro c'hanno una sosia di katherine keener, simpatiche e polistrumentiste figlie di Calvin Johnson, frutti e posticipazioni culturali dell'indie rock in generale, indennizzate dal più incantevole accento modenese in falsetto mentre parafrasano gli halo benders con incommensurabile grado di autoironia, che non smetti di sorridere manco se vuoi, touch my bikini, ah-ah, indie rock is like pornography in a way, eh-eh.
E poi ci sono i red worms' farm che sono grandiosi nonché belllissimi uomini da palco, fragorose le chitarre e la batteria, il torace e le braccia, la voce contorno di uno strumentale densissimo e spossante.
Ma a mezzanotte per noi indie-cenerentole (innamorate del chitarrista, il biondo che tace) lo sbadiglio attanaglia il piglio poco prima ciarliero e entusiasta e si torna al traghetto, alla pianura, al brusio lento delle stazioni radiofoniche alla notte.
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