C'è bisogno d'amore, un sacco d'amore
Quando mi hanno passato Fear Yourself, l'ultimo album di Daniel Johnston c'era un certo sottofondo di sfida: un pivello come me avrebbe mai apprezzato le ballate sbilenche di una tale leggenda dell'indie rock? Avrebbe mai vagamente intuito il genio puro dietro a una così ingombrante biografia?
Non lo so: quello che so è un primo ascolto così non mi capitava da tempo. Ammetto che è stato un po' laborioso: stavo trafficando ai fornelli e l'introduzione di Now, con quell'attacco di lo-fi strimpellato e sguaiato, mi ha preso un po' in contropiede.
Non avevo problemi di vicini e ho alzato di più il volume. E di colpo, a metà della canzone, il mondo si apre, entra in scena Mark Linkous degli Sparklehorse, compagno di Johnston in questa avventura, ed è come se da una vecchia pellicola in bianco e nero tutto divenisse traslucido e si colorasse.
Effettivamente, come lo stesso Johnston racconta, lui ci ha messo una settimana per incidere l'album. Poi c'è stato un lavoro di produzione davvero ricco ("...after it was done, they took the tapes, and they had them for a long, long time. They were overdubbing, adding things, and working on it for the longest time..."). Non so come l'hanno presa i fans storici di Johnston, ma direi non troppo male, a leggere l'ultimo Rumore ;-)
Comunque, mentre apparecchiavo, continuavo a chiedermi chi poteva mai ascoltare quel disco, quel Syrup of tears così Mercury Rev solo molto molto più naif.
Ma già con Mountain Top consideravo simili interrogativi del tutto leziosi, e quando poi il lettore ha attaccato la traccia numero sei, Fish, sono esploso in un sorriso e non ho potuto fare a meno di ballare come avessi pianto fino a un attimo prima.
Fear Yourself è un album che trabocca amore: amore per una donna, per il sole, per il mondo intero.
Non è un album positivo, né un album "ottimista". E' un corpo acciaccato e dolorante che riscopre energie sorprendenti, trabocca entusiasmo ma non leggerezza. E' la quintessenza della primavera: provate ad ascoltare la conclusiva Living in for the moment, Love not dead o la citata Fish la mattina a colazione e mandate due righe a polaroid per dire quanto vi sentite bene, nonostante tutto il resto.
Quando mi hanno passato Fear Yourself, l'ultimo album di Daniel Johnston c'era un certo sottofondo di sfida: un pivello come me avrebbe mai apprezzato le ballate sbilenche di una tale leggenda dell'indie rock? Avrebbe mai vagamente intuito il genio puro dietro a una così ingombrante biografia?
Non lo so: quello che so è un primo ascolto così non mi capitava da tempo. Ammetto che è stato un po' laborioso: stavo trafficando ai fornelli e l'introduzione di Now, con quell'attacco di lo-fi strimpellato e sguaiato, mi ha preso un po' in contropiede.
Non avevo problemi di vicini e ho alzato di più il volume. E di colpo, a metà della canzone, il mondo si apre, entra in scena Mark Linkous degli Sparklehorse, compagno di Johnston in questa avventura, ed è come se da una vecchia pellicola in bianco e nero tutto divenisse traslucido e si colorasse.
Effettivamente, come lo stesso Johnston racconta, lui ci ha messo una settimana per incidere l'album. Poi c'è stato un lavoro di produzione davvero ricco ("...after it was done, they took the tapes, and they had them for a long, long time. They were overdubbing, adding things, and working on it for the longest time..."). Non so come l'hanno presa i fans storici di Johnston, ma direi non troppo male, a leggere l'ultimo Rumore ;-)
Comunque, mentre apparecchiavo, continuavo a chiedermi chi poteva mai ascoltare quel disco, quel Syrup of tears così Mercury Rev solo molto molto più naif.
Ma già con Mountain Top consideravo simili interrogativi del tutto leziosi, e quando poi il lettore ha attaccato la traccia numero sei, Fish, sono esploso in un sorriso e non ho potuto fare a meno di ballare come avessi pianto fino a un attimo prima.
Fear Yourself è un album che trabocca amore: amore per una donna, per il sole, per il mondo intero.
Non è un album positivo, né un album "ottimista". E' un corpo acciaccato e dolorante che riscopre energie sorprendenti, trabocca entusiasmo ma non leggerezza. E' la quintessenza della primavera: provate ad ascoltare la conclusiva Living in for the moment, Love not dead o la citata Fish la mattina a colazione e mandate due righe a polaroid per dire quanto vi sentite bene, nonostante tutto il resto.
Commenti
Posta un commento