Blog (c)age?
quando non sai di cosa parlare, parla del blog
(Questo pesissimo post è vecchio di sette giorni, ma quissù tra i monti non si aveva tutti i fili giusti e quindi ci contenteremo della differita)
Giovedì scorso in radio è successa una cosa simpatica, che merita di essere ricordata su polaroid.
Stavamo raccontando del concerto bolognese di Interpol interrotto per il malore del batterista, quando Inkiostro (in ascolto da qualche parte in città) ci ha mandato una mail. Avvisava che sul sito dell’Estragon era appena comparsa la notizia del recupero della serata il venerdì.
Tra un pezzo e l’altro abbiamo dato l’aggiornamento e abbiamo salutato in diretta Inkiostro, uno dei nostri link preferiti.
La cosa potrebbe anche finire qui (molto inside joke) se non fosse che da una settimana leggo dappertutto i resoconti di questa conferenza sui blog che si è tenuta a Milano, con tanto di giornali e giornalisti.
Non intendo offendere nessuno, ma mi viene da pensare che sia tutto spropositato al limite del ridicolo.
Personalmente, non ho mai avuto problemi a incontrare di persona quelli che scrivono i blog che mi piace leggere. Li abbiamo invitati in radio, a nostra volta abbiamo preso treni e ci siamo dati appuntamenti, addirittura a qualche manifestazione.
Conoscevo le reazioni di alcuni blog “pionieri” quando incontrarono per la prima volta Leonardo. Si parla ormai di tre anni fa, i blog italiani si contavano sulle dita di una mano ed erano piuttosto geek-oriented. C’era questo strumento nuovo e Leo lo usava per pubblicare tutto quello che gli pareva, senza l’assillo di una redazione. A loro, per quanto ne so, piacque subito. Anche se non sapeva nulla dei feed rss...
Poi piano piano arrivò tutto il resto, e in mezzo c’eravamo anche noi (grazie del link Marco :-) mi limito a segnalare che ben prima di polaroid c’erano anche Valido e Ludik, tra gli altri...). Ognuno faceva quel che voleva e poteva. Si crearono spontaneamente “compagnie”, si scambiarono i contatti e si fecero nuove amicizie
Esattamente come nel mondo reale? Cacchio, ma dove crediamo che sia internet? Un blog era soltanto un (altro) modo per parlare, per scrivere, per raccontare (per chi ci riusciva).
Poi arrivò chi decise che qualcosa era serio e qualcosa no. Da quel giorno ho avuto l’impressione che un blog, questo sito facile facile da fare, mi piacesse sempre meno.
Venne fuori (esattamente come per i racconti che scrivevo a vent’anni) che molti blog erano brutti perché versioni on line di “diari”.
E venne fuori, anche, che i blog migliori avevano più a che fare con il giornalismo.
Qualcuno poi si preoccupò di creare programmi per selezionare i blog migliori sul browser e per raccogliere le cose meglio scritte, insomma di regolare tutto per bene.
E poi venne il momento di incontrarsi e contarsi.
Alla fine mi sento un po’ confuso. Quasi vorrei negare di avere mai avuto a che fare con i blog e la loro gente. Io? Io non so neanche l’html...
Però ho deciso che occorre reagire: bastano le etichette a buttarmi giù? Eccone pronte delle altre.
Al genere letterario del “diario”, nelle conversazioni da osteria, ho sostituito quello del “romanzo di formazione”: ad esempio, polaroid è la storia i due (almeno due) che provano a condurre un programma in radio e tentano di formarsi un gusto musicale.
(Funziona, mi sento già meglio.)
Alla patente di professionalità che il giornalismo conferisce risponderemo con il miglior spirito da fanzine di cui saremo capaci: opinioni personali, discorsi militanti, un’aria di disorganizzazione perenne e soprattutto una marea di contraddizioni, banalità, balle e poesia a ruota libera, senza vergogna.
Tutto questo per dire che non serve molta teoria per capire che ci fa piacere quando qualcuno che non abbiamo mai visto ci scrive, e che ci farebbe ancora più piacere incontrarlo in radio. Se il blog è il mezzo (se resta tale), vada per il blog: il resto, davvero, poco importa.
quando non sai di cosa parlare, parla del blog
(Questo pesissimo post è vecchio di sette giorni, ma quissù tra i monti non si aveva tutti i fili giusti e quindi ci contenteremo della differita)
Giovedì scorso in radio è successa una cosa simpatica, che merita di essere ricordata su polaroid.
Stavamo raccontando del concerto bolognese di Interpol interrotto per il malore del batterista, quando Inkiostro (in ascolto da qualche parte in città) ci ha mandato una mail. Avvisava che sul sito dell’Estragon era appena comparsa la notizia del recupero della serata il venerdì.
Tra un pezzo e l’altro abbiamo dato l’aggiornamento e abbiamo salutato in diretta Inkiostro, uno dei nostri link preferiti.
La cosa potrebbe anche finire qui (molto inside joke) se non fosse che da una settimana leggo dappertutto i resoconti di questa conferenza sui blog che si è tenuta a Milano, con tanto di giornali e giornalisti.
Non intendo offendere nessuno, ma mi viene da pensare che sia tutto spropositato al limite del ridicolo.
Personalmente, non ho mai avuto problemi a incontrare di persona quelli che scrivono i blog che mi piace leggere. Li abbiamo invitati in radio, a nostra volta abbiamo preso treni e ci siamo dati appuntamenti, addirittura a qualche manifestazione.
Conoscevo le reazioni di alcuni blog “pionieri” quando incontrarono per la prima volta Leonardo. Si parla ormai di tre anni fa, i blog italiani si contavano sulle dita di una mano ed erano piuttosto geek-oriented. C’era questo strumento nuovo e Leo lo usava per pubblicare tutto quello che gli pareva, senza l’assillo di una redazione. A loro, per quanto ne so, piacque subito. Anche se non sapeva nulla dei feed rss...
Poi piano piano arrivò tutto il resto, e in mezzo c’eravamo anche noi (grazie del link Marco :-) mi limito a segnalare che ben prima di polaroid c’erano anche Valido e Ludik, tra gli altri...). Ognuno faceva quel che voleva e poteva. Si crearono spontaneamente “compagnie”, si scambiarono i contatti e si fecero nuove amicizie
Esattamente come nel mondo reale? Cacchio, ma dove crediamo che sia internet? Un blog era soltanto un (altro) modo per parlare, per scrivere, per raccontare (per chi ci riusciva).
Poi arrivò chi decise che qualcosa era serio e qualcosa no. Da quel giorno ho avuto l’impressione che un blog, questo sito facile facile da fare, mi piacesse sempre meno.
Venne fuori (esattamente come per i racconti che scrivevo a vent’anni) che molti blog erano brutti perché versioni on line di “diari”.
E venne fuori, anche, che i blog migliori avevano più a che fare con il giornalismo.
Qualcuno poi si preoccupò di creare programmi per selezionare i blog migliori sul browser e per raccogliere le cose meglio scritte, insomma di regolare tutto per bene.
E poi venne il momento di incontrarsi e contarsi.
Alla fine mi sento un po’ confuso. Quasi vorrei negare di avere mai avuto a che fare con i blog e la loro gente. Io? Io non so neanche l’html...
Però ho deciso che occorre reagire: bastano le etichette a buttarmi giù? Eccone pronte delle altre.
Al genere letterario del “diario”, nelle conversazioni da osteria, ho sostituito quello del “romanzo di formazione”: ad esempio, polaroid è la storia i due (almeno due) che provano a condurre un programma in radio e tentano di formarsi un gusto musicale.
(Funziona, mi sento già meglio.)
Alla patente di professionalità che il giornalismo conferisce risponderemo con il miglior spirito da fanzine di cui saremo capaci: opinioni personali, discorsi militanti, un’aria di disorganizzazione perenne e soprattutto una marea di contraddizioni, banalità, balle e poesia a ruota libera, senza vergogna.
Tutto questo per dire che non serve molta teoria per capire che ci fa piacere quando qualcuno che non abbiamo mai visto ci scrive, e che ci farebbe ancora più piacere incontrarlo in radio. Se il blog è il mezzo (se resta tale), vada per il blog: il resto, davvero, poco importa.
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