"E inoltre credo che cercare di mettere i suoni nelle parole sia un lavoro importante per uno scrittore" così Nick Hornby.
Bastevole e verisimile laddove si parli di musica, sic.
Ma cosa accade se alla musica già si sovraimprime il rilievo (e a maggior ragione se non di scarso rilievo) della lirica?
Voglio dire, se già suono e testo si riempiono e rieccheggiano vicendevoli rimbalzando ogni dove traducendosi simultaneamente e ispessendosi mano a mano in più per opera della stessa mano, cosa resta d'aggiungere?
Forse la prosa, ma può succedere che girandoci attorno tu accenda di nuovo poesia.
Questo a proposito del fatto che: sabato A. mi scrive, compra il Foglio, se ti va, che c'è una pagina intera su Paolo Conte, non mia, meravigliosa (meravigliosa).
Io che per via di A. e P. C. (che non è palindromo ma se fosse direbbe C.P., i.e. Cesare Pavese, condivisibile non fosse altro che per il fatto regionale) e che meraviglioso mi fa salire l'eau à la bouche, solo a pensarci, lo faccio comprare al mi' babbo, giusto per gusto di estrapolargli un brivido protoestivo.
E lo leggo sabato notte alle tre e mezza, visto che la mia felicità si guardava ben bene dal farmi visita e avevamo bevuto rum e cola in una vecchia pizzeria di ferrara e io avevo uno di quei mal di testa (il tipo di malditesta con cui Dio ti punirebbe nell'Antico Testamento - un C.P. pure lui, pensa te) che a Buttarci Fuoco non può che sedarsi.
E' un pezzo dai caratteri infiniti (un rischiosissimo pastiche contiano linguistico multilingue), bilioni di citazioni, il luogo dei punti dell'ipotassi, dell'iperbato, della frase nominale, del riverbero, del refrain. Per via di ciò nun ci si capisce praticamente nulla, tipo musica in un'altra lingua, che stai imparando e chiedi grazia e pietà all'interlocutore che canta le parole sue per te.
E' bello, già, c'ha una sua violenza raffinata.
E' bello ma (ma va?) è il suo Paolo Conte. Non il nostro. Ahi, nostro giammai. Al più ci contorciamo e siamo gelosi della lusinga che gli allunga, per come gli ritorce le parole, le più imbucate persino, via dai clichè. Dice cose tipo: "Non ci si può privare di Paolo Conte proprio perchè nelle cose dell'amore si arriva di corsa e il petto scoppia di buio, non ci si può più perdere nel languore del tempo perso perchè il tempo si riempie di fatti inzuppati di sorrisi."
Qualcosa di futurista con i testi frammentati nel cappello, li pesca e li compone, salvo poi aggiungerci la mano un po' inglese di flatting (non si deve far altro, tranne aspettare che asciughi).
Non c'è la malinconia struggente (e in realtà perchè dovrebbe), l'agguato di nostalgia, non c'è il camion giallo gondrand, è solo un sabato, anzi una domenica, che ci vien bene questo celeste (e perchè non dovrebbe).
Meraviglioso, davvero.
Bastevole e verisimile laddove si parli di musica, sic.
Ma cosa accade se alla musica già si sovraimprime il rilievo (e a maggior ragione se non di scarso rilievo) della lirica?
Voglio dire, se già suono e testo si riempiono e rieccheggiano vicendevoli rimbalzando ogni dove traducendosi simultaneamente e ispessendosi mano a mano in più per opera della stessa mano, cosa resta d'aggiungere?
Forse la prosa, ma può succedere che girandoci attorno tu accenda di nuovo poesia.
Questo a proposito del fatto che: sabato A. mi scrive, compra il Foglio, se ti va, che c'è una pagina intera su Paolo Conte, non mia, meravigliosa (meravigliosa).
Io che per via di A. e P. C. (che non è palindromo ma se fosse direbbe C.P., i.e. Cesare Pavese, condivisibile non fosse altro che per il fatto regionale) e che meraviglioso mi fa salire l'eau à la bouche, solo a pensarci, lo faccio comprare al mi' babbo, giusto per gusto di estrapolargli un brivido protoestivo.
E lo leggo sabato notte alle tre e mezza, visto che la mia felicità si guardava ben bene dal farmi visita e avevamo bevuto rum e cola in una vecchia pizzeria di ferrara e io avevo uno di quei mal di testa (il tipo di malditesta con cui Dio ti punirebbe nell'Antico Testamento - un C.P. pure lui, pensa te) che a Buttarci Fuoco non può che sedarsi.
E' un pezzo dai caratteri infiniti (un rischiosissimo pastiche contiano linguistico multilingue), bilioni di citazioni, il luogo dei punti dell'ipotassi, dell'iperbato, della frase nominale, del riverbero, del refrain. Per via di ciò nun ci si capisce praticamente nulla, tipo musica in un'altra lingua, che stai imparando e chiedi grazia e pietà all'interlocutore che canta le parole sue per te.
E' bello, già, c'ha una sua violenza raffinata.
E' bello ma (ma va?) è il suo Paolo Conte. Non il nostro. Ahi, nostro giammai. Al più ci contorciamo e siamo gelosi della lusinga che gli allunga, per come gli ritorce le parole, le più imbucate persino, via dai clichè. Dice cose tipo: "Non ci si può privare di Paolo Conte proprio perchè nelle cose dell'amore si arriva di corsa e il petto scoppia di buio, non ci si può più perdere nel languore del tempo perso perchè il tempo si riempie di fatti inzuppati di sorrisi."
Qualcosa di futurista con i testi frammentati nel cappello, li pesca e li compone, salvo poi aggiungerci la mano un po' inglese di flatting (non si deve far altro, tranne aspettare che asciughi).
Non c'è la malinconia struggente (e in realtà perchè dovrebbe), l'agguato di nostalgia, non c'è il camion giallo gondrand, è solo un sabato, anzi una domenica, che ci vien bene questo celeste (e perchè non dovrebbe).
Meraviglioso, davvero.
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