Cuore di panna
Luxe, calme et volupté
La settimana scorsa Andrea, Inkiostro, Delio e Shoegazer hanno con molta arguzia aggiornato il Dizionario del Rock Snob al tempo dei blog.
Dopo ormai due anni di polaroid, radio e concerti voglio aggiungere una postilla, una piccola legge che potremmo chiamare "Sindrome da indie rock ritardato": ogni volta che mi capita tra le mani un disco di cui non so nulla (piuttosto spesso, pare), e ancora prima di mettermi a cercare qualcosa su google, c'è sempre qualcuno che mi dice: "ah, ti piace ___ ? sì, carino: ma il disco prima era mooolto meglio".
Tu trovi qualcosa, ti sembra bello, sei felice, eppure dopo cinque minuti sei già convinto che la parte migliore te la sei persa.
Così è stato per questo Heart dei poveri Stars (per i quali l'aggettivo carino è davvero appropriato), che mi sono riusciti antipatici ancora prima di capire cosa fossero.
Eppure lo ce la mettono tutta, addirittura il disco comincia con una specie di messaggio da segreteria telefonica in cui i quattro componenti della band ti offrono letteralmente il loro cuore. Uh. Stucchevole? Non saprei, non siamo più abituati a tanta (calcolata?) sincerità di buoni sentimenti. Del resto gli Stars si proclamano "soft-revolutionaries"...
"Eeh, ma il disco prima l'avevano registrato nella camera da letto di Nick Zimmer"...
Se è per questo, i suoni di Heart sono curati da Evan Cranley, dei loro amici Broken Social Scene.
"Eeh, ma il disco prima era molto più smithsiano, cioè davvero tanto: ti ricordi quando ballavamo la loro cover di This charming man?"...
No.
Torno a casa e quando accendo lo stereo cerco di vedere quel che c'è da vedere senza pensare ad altro (ad esempia, alle puntate di Sex and the City o di Law and Order in cui appre il cantante Torquil Campbell). Cerco di ascoltare le parole che, pur trattandosi di un intero disco di canzoni d'amore, non sono troppo scontate.
Ma ormai il danno è fatto: diventa inevitabile ridurre questi Stars a formule tipo "Prefab Sprout più Saint Etienne" (Romantic comedy), oppure "Postal Service meno glitch" (Elevator love letter), oppure "una versione light (ma con zucchero) dei New Order era Republic" (Death to death, Look up), oppure "un bizzarro mix di Underwater Love con il ritornello di Free as a bird" (in The Vanishing, al momento la mia preferita, forse perché la più estiva)...
Eppoi c'è questo atmosfera di tenerezza invadente, che satura ogni angolo (le voci sempre perfette, gli archi sempre morbidi, il revival eighties sempre misurato e gradevole) e che in questa stagione mi risulta un po' appiccicosa.
Verso la fine di ottobre, quando ci abbracceremo nei nostri maglioni (e se il nuovo Belle & Sebastian sarà davvero così poco Belle & Sebastian), magari ne riparliamo.
Luxe, calme et volupté
La settimana scorsa Andrea, Inkiostro, Delio e Shoegazer hanno con molta arguzia aggiornato il Dizionario del Rock Snob al tempo dei blog.
Dopo ormai due anni di polaroid, radio e concerti voglio aggiungere una postilla, una piccola legge che potremmo chiamare "Sindrome da indie rock ritardato": ogni volta che mi capita tra le mani un disco di cui non so nulla (piuttosto spesso, pare), e ancora prima di mettermi a cercare qualcosa su google, c'è sempre qualcuno che mi dice: "ah, ti piace ___ ? sì, carino: ma il disco prima era mooolto meglio".
Tu trovi qualcosa, ti sembra bello, sei felice, eppure dopo cinque minuti sei già convinto che la parte migliore te la sei persa.
Così è stato per questo Heart dei poveri Stars (per i quali l'aggettivo carino è davvero appropriato), che mi sono riusciti antipatici ancora prima di capire cosa fossero.
Eppure lo ce la mettono tutta, addirittura il disco comincia con una specie di messaggio da segreteria telefonica in cui i quattro componenti della band ti offrono letteralmente il loro cuore. Uh. Stucchevole? Non saprei, non siamo più abituati a tanta (calcolata?) sincerità di buoni sentimenti. Del resto gli Stars si proclamano "soft-revolutionaries"...
"Eeh, ma il disco prima l'avevano registrato nella camera da letto di Nick Zimmer"...
Se è per questo, i suoni di Heart sono curati da Evan Cranley, dei loro amici Broken Social Scene.
"Eeh, ma il disco prima era molto più smithsiano, cioè davvero tanto: ti ricordi quando ballavamo la loro cover di This charming man?"...
No.
Torno a casa e quando accendo lo stereo cerco di vedere quel che c'è da vedere senza pensare ad altro (ad esempia, alle puntate di Sex and the City o di Law and Order in cui appre il cantante Torquil Campbell). Cerco di ascoltare le parole che, pur trattandosi di un intero disco di canzoni d'amore, non sono troppo scontate.
Ma ormai il danno è fatto: diventa inevitabile ridurre questi Stars a formule tipo "Prefab Sprout più Saint Etienne" (Romantic comedy), oppure "Postal Service meno glitch" (Elevator love letter), oppure "una versione light (ma con zucchero) dei New Order era Republic" (Death to death, Look up), oppure "un bizzarro mix di Underwater Love con il ritornello di Free as a bird" (in The Vanishing, al momento la mia preferita, forse perché la più estiva)...
Eppoi c'è questo atmosfera di tenerezza invadente, che satura ogni angolo (le voci sempre perfette, gli archi sempre morbidi, il revival eighties sempre misurato e gradevole) e che in questa stagione mi risulta un po' appiccicosa.
Verso la fine di ottobre, quando ci abbracceremo nei nostri maglioni (e se il nuovo Belle & Sebastian sarà davvero così poco Belle & Sebastian), magari ne riparliamo.
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