Live from XM24

(L'inevitabile recensione del secondo Anti Mtv Day, per gentile concessione di Zero In Condotta - in edicola venerdì)


[...] io, anche per sostenere la causa, ho preferito andare all’Anti Mtv Day. E anche se dell’Hard Core che si suona so poco o nulla, vi offro comunque una cronaca appassionata dell’evento che più merita e spacca.

Comincio male e arrivo alle 6, appena i Santa Sangre hanno finito: peccato, volevo essere della balotta sin dall’inizio. C’è sole e vento e ancora poca gente. Per 3 euro mi disegnano una croce a pennarello sul palmo ed entro all’eXMercato con l’ebete ilarità della matricola.

Mi accorgo che il palco esterno è vuoto e capisco che quest’anno i concerti si faranno al coperto, fatto che pregiudicherà la mia salute irreparabilmente: tutto quel dentro e fuori dallo stanzone, sudato e in maglietta, lo accuserò il giorno successivo, cioè mentre vi scrivo. E poi dicono che non ci sono più le mezze stagioni. Nel cortile stanno ancora montando i tavoli delle autoproduzioni, riconosco blogger semicelebri e facce note di altri gruppi in scaletta.



Mi accolgono i fiorentini Disquieted By con una dichiarazione di poetica e d’amore per questa musica che la dice lunga: “quello che viene viene: vai!”, e poi attaccano un pezzettone tirato che le gambe subito non si tengono. Stando al programma suonano un punk’n’roll alla Hives, e infatti è evidente il ceppo garage della loro musica. Il cantante, piuttosto ironico e compreso, con l’indice alzato al cielo sfoggia sorrisi finti da rockstar di Mtv che si rivelano contagiosi.

Intanto, sospesa alle spalle del palco, stanno allestendo una regia televisiva: ragazze salgono e scendono la scaletta scambiandosi urli sopra la musica, telecamere digitali, e cavi sospesi contro lo sfondo dipinto a scacchi bianchi e neri.



Dei Suicide Club fanno parte il cantante dei The Death of Anna Karina e quello dei Settlefish. Dedicano il loro concerto al contadino coreano che si è suicidato all’ultima riunione del WTO e aggrediscono il pubblico con una musica urlatissima e violenta, piena di stacchi e spigoli da perdere la testa. La sovrapposizione delle due voci che ripetono ossessive in certi momenti raggiunge livelli di pathos prodigiosi. Le velocissime canzoni, che potrebbero far invidia ai Liars, e che fanno ballare tanto quanto i Rapture, hanno titoli come Ground Zero is my viagra e recano dediche a “Lord Byron, quel maiale”. Assolutamente tra le cose migliori viste in tutto il festival.

Quando finiscono usciamo a prendere fiato e a guardare lo spettacolare tramonto, gli aerei che decollano vicini, i cani che si rincorrono tra sassi ed erbacce sul piazzale raso al suolo e abbandonato. Le case popolari intorno accendono le luci e da dentro l’XM24 arrivano i rumori del sound check del prossimo gruppo.



Sono i milanesi Lacrisi, la cui cosa migliore mi è sembrata la maglietta del chitarrista, dove campeggiava la scritta SU-CA in caratteri tipo AC-DC. Il loro dovrebbe essere un hard core vecchia scuola, ma io ci ho visto solo un sacco di aggressività fine a se stessa e male rappresentata. Tra tante urla gutturali, solo dopo qualche pezzo ho intuito che cantavano in italiano, quando si è percepito chiaramente un enigmatico “spaccheranno le ossa”. Il cantante continuava a dare del cagasotto al batterista.



Non vedevo l’ora di uscire per andare a comprare una maglietta di Tuono Pettinato e qualcuno dei suoi fumetti da regalare. Poi gli Ornaments hanno preso il palco prima che riuscissi a mettere qualcosa sotto i denti. Debole e a stomaco vuoto il loro concerto mi è sembrato ancora più sconvolgente: la band carpigiana, della quale fanno parte due chitarristi dei The Death of Anna Karina, applica all’hard core i modi del post rock, dilatando tutti tempi (ma non i ritmi, sempre tesissimi), fino a rendere l’esibizione in pratica un’unica lunga suite di una sola canzone (senza voce). Dentro c’è tutto: i momenti epici e quelli più serrati, i tempi dispari, i fragori trascinanti e impetuosi, gli assalti inquieti e le distanze. Possono non piacere, ma è difficile non rimanere colpiti dalla loro energia. Il loro concerto è stato il primo a trascinare la gente (che nel frattempo si è fatta numerosa) tutto intorno al palco.

Durante la pausa in programma per la cena discutiamo di come i gruppi quest’anno non facciano molti discorsi dal palco, come era successo l’anno scorso. Il senso politico del festival è riassunto dallo striscione alle loro spalle: “STOP music business STOP tv lobotomy”, nonché dalle decine di fanzine disponibili fuori.



The Infarto Scheisse vengono da Bergamo Alta e sono un gruppo metal-core che, stando alle parole del cantante, “ci prova”. Personalmente li ho trovati logoranti e ripetitivi, ma a giudicare dal pogo selvaggio di tre o quattro persone sotto il palco e dal numero di corna alzate qualche merito devono averlo. Il moralista che è in me mi spinge a rimarcare che il fatto che a un concerto punk ci sia più gente con macchine fotografiche e telecamere digitali di quanta sta ballando dovrebbe dare da pensare.

Il cantante presenta tutti i pezzi con discorsi lunghissimi del tipo “la prossima canzone parla di come ci piacerebbe mandare a fanculo tutti quanti con un sorriso” seguiti dal gelo più assoluto nella stanza. Quando sono uscito stava raccontando della sua famiglia, di come tutti siamo cresciuti con un’educazione sbagliata…



Tra gli avventori ritardatari incontro Mr. Valido in persona nonché DJ Amarezza, arrivato giusto in tempo per gli Altro, che mi aggiorna sulle prossime date delle Black Candy: imperdibile il concerto di venerdì 19 al Circolo Arci di Villarotta di Luzzara (RE) di spalla ai Draft, polaroid non mancherà.



Intanto cominciano gli attesissimi Altro e così mi perdo anche i rimasugli di gnocco fritto con verdure (ma dicevano che non fosse gran cosa). Il gruppo pesarese dona nuovi significati alla parola accanimento, e i ritmi pestati in base uno sotto la voce di Ale sono violentissimi. La gente balla, molte fotografie, qualche verso delle canzoni che ci raggiunge sopra il frastuono (“…ogni problema è rimasto lo stesso…”). I tempi sono tutti slabbrati, poco precisi, ma gli Altro se ne fregano e la loro carica è tale che non hanno tempo per voltarsi indietro ad aggiustare niente. Il pubblico partecipa e si diverte: acclama Matteo degli Sprinzi quando sale sul palco per un pezzo in amicizia, urla richieste di canzoni (Come su tutte, anche se poi la suoneranno in una versione un po’ svogliata), nascono nuove storie d’amore, tutti cantano in un solo, incredibile, coro a braccia alzate: “io credevo / che noi / fossimo uno / soltanto uno”. Come ha dichiarato la Mara delle Black Candy: “Altro. Punto. Non ce n’è per nessuno”. Impossibile darle torto.

Fuori intanto hanno allestito un telone che proietta le immagini dei concerti e altri fichissimi filmati. Le cucine cominciano a sfornare una piccantissima pasta e fagioli molto apprezzata e anche il nostro caporedattore giunge a rifocillarci con un paio di pizze scippate a una vecchietta in Via Carracci.



I successivi Hollywood Perverse si definiscono schiacciasassi e davvero non si può trovare una definizione migliore: il loro suono è cubico e satura lo stanzone dell’XM24 con raffiche senza tregua. Mi tremano le gambe e il pavimento vibra: qualcuno ha già dato a loro la colpa del terremoto che nella notte scuoterà Bologna? Da segnalare durante la loro agitatissima esibizione l’unico caso di stage diving riuscito della serata. I ragazzi sotto alzano la polvere e si divertono, dalla regia in alto riprendono tutto, è un bellissimo sabato sera di musica e sudore (attento: che poi prendi freddo).



Quando arrivano i Miles Apart confesso che non ho più tanto da spendere: inoltre il loro emo un po’ stucchevole (anche se tirato) crea un certo via vai tra il pubblico e io che sono pigro mi distraggo. Peccato, perché mi pare che la voce sia all’altezza e il bassista ce la mette tutta, fa smorfie tratte da video che non ho mai visto e improvvisa coreografia da quasi star. Non lo seguo. Temo che ricorderò questa loro esibizione per la dedica più emo che abbia mai sentito a un concerto del genere: qualcosa per gli sposi di non so dove.

Io saluto, fuori minaccia il temporale e mi avvio verso la bicicletta. Spero che dei due restanti concerti (Kafka e Army of Koala, di cui ho sentito dire bene) qualcuno qui intorno sappia raccontare meglio di me. Io sono contentissimo così: non c’è neanche bisogno di aggiungere che ci rivediamo tutti qui l’anno prossimo.

Commenti