back to the old house?



Magnifico. Ho dovuto impostare un problema variazionale per ricordarmi la password per accedere a Polaroid.

Uno sballo. Sto per scrivere sopra a un post con ventidue commenti, dove ci sono anche degli smile di color giallo e sto per realizzare che da due mesi nel mondo sono successe cose e qui e mi riferisco solo alle piccole e lineari.

Tipo che c’è gente che riconosce le macchine dal rumore che fanno all’autolavaggio, cose che farebbero impazzire Nicoletti, se solo ci fossero i capelli di un cadavere impigliati nel tergicristallo.

Quelle a me attinenti hanno avuto la leggera tragicità di umori appesi al filo del telefono e alla pedana della bilancia, la consistenza della felpa grigia e della lana delle calze di una vecchia boutique da signora che ha chiuso e lei abbandonato scatoloni imballati con borsette di jeans in giro per gli appartamenti di un condominio qualunque con la scala di marmo di una città di nebbia che amo dimenticare.

Per la convalescenza ascolterò il nuovo disco degli Strokes (che ormai è già vintage) di cui ho suoni e immagini di limbo, ma del resto l’ultimo ricordo che approssimi certe ex-vagonate di poesia appena svegli.

E comprare una camicia di grifoni, ma la vorrei scegliere tra molte e perderci tempo con la consapevolezza incontrovertibile che tanto la prenderò azzurra (i.e. azzurra oxford).

Non mi sembra di aver visto altro che la faccia pallida e carina del farmacista (molto Carter, e poi mi ricordo John Carter con lo smoking con quella deficiente postalcolista di Abby al galà di sua nonna) che mi impacchetta le ennesime pastiglie da malattie psicosomatiche per diventare margherita buy, dieci anni in ritardo.

Sono saliti e scesi i film iniziate e finite le mostre usciti dischi e già dimenticati, e numeri di riviste femminili che non ho sfogliato e per strada girano ragazze con anelle giganti alle orecchie maglioni a collo alto blu elettrici e fronti sotto frange con la lacca che buca l’ozono a bordo di nuove y10 metallizzate che piacciono ancora alla gente che piace.

E poi mi ricordo una sera al teatro medica la Uma che sembra Beatrice, ed ha così la consistenza del sogno, che fissa l’alluce, la scena reiterata di lei che fissa l’alluce è un po’ come telespallabob con il rastrello, l’ultimo ricordo che approssimi certe ex-vagonate di poesia dopo pranzo al telefono.

E poi mi ricordo Libby Kirkpatrick, nelle orecchie la stessa doppia faccia della pellicola di alluminio (lucido e opaco) che faceva la sua parte d’artista inconsapevole attorno alla chiesa della consacrazione, io che studiavo cose simili nel puro spirito della meccanica razionale, l’unico possibile allora era, i dreamt about you last night and I fell out of bed twice you can pin and mount me like a butterfly but take me to the heaven of your bed, e invece adesso fa solo there is no roof to this sky there is no definition of light there is non answer to why, why remains suspended, it’s a question never-ending.

Niente di meno morboso di una voce bianca tipo come fosse nera e il refrain bidimensionale, e la faccia in bianco nero di una cantautrice con i riccioli, i fianchi che abbondano e lo capisci dagli occhi e i pesanti orecchini di ambra, via vai new age (e lugano addio).

E nella buchetta la mail di un vecchio amico che mi sogna e reclama e l’urgenza del capire, subito, la consistenza del sogno (reprise).

E, tuttavia mi sentivo vecchio in quel modo così profondo in cui solo i giovani riescono a sentirsi. Presto avrei avuto trent’anni; le cose che avevo fatto neanche mia madre si sarebbe potuta costringere a chiamare successi. (m.c., dannazione!)

Domani sarà anni ottanta come una puntata di nonsolomoda degli anni novanta che parla di Anversa e di Christy Turlington, e di sotto Lisa Stansfield che canta been around the world and iiiiiiii i can't find my baby, i don't know when, i don't know why he's gone away and i don't know where he can be, my baby but i'm gonna find him.



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