Where you been
Quando ti senti come una C60 mangiata dall'autoradio, e tutto il tuo nastro è sfilacciato sul bordo della strada, ecco presentarsi due giorni in fondo a una settimana con un paio di concerti che sul calendario avevi scritto solo a matita, tanto ormai sei rassegnato a non dare più nulla per certo.
E all'improvviso tutto torna a girare per il verso giusto.
Ok, non proprio tutto. Anzi, quasi nulla è cambiato: ma solo 48 ore prima non ti saresti mai immaginato di guidare verso Bologna la domenica sera con quel sorriso sulla faccia, così stanco e così contento.
Il sabato del Covo si può riassumere in due parole: sold out. Portoni chiusi già poco dopo le dieci e mezza, svariate decine di persone rimaste fuori, Jack Daniel's prosciugato.
Non potete figurarvi la mia soddisfazione nell'assistere al concerto dei Three In One Gentleman Suit, ritrovarli proustianamente l'altra sera nello storico locale di Viale Zagabria, davanti a un pubblico caldissimo, quei ragazzini che nemmeno dieci anni fa provavano per ore Soundgarden e Pearl Jam nel garage di fronte a casa mia, tutte le notti, mentre io cercavo di studiare. L'altra sera hanno retto benissimo (sì, tra un pezzo e l'altro Paolo non sapeva bene che dire, ma régaz, erano sul palco del Covo, la timidezza ci sta).
Il loro set si è avventurato in territori che da tempo né i Karate né i Mogwai mi invogliano più a esplorare, e mi ha trascinato con sé. E con piacere posso dire che l'entusiasmo della band della Bassa è decisamente riuscito a farsi apprezzare dal folto pubblico.
Il loro primo demo Battlefields in an autumn scenario è stato appena rimasterizzato con la supervisione di Massimo Mosca dei Three Second Kiss e pubblicato dalla Fooltribe Records. Adattissimo alla stagione.
In un clima sempre più isterico, finalmente sono saliti gli El Guapo a montare le tastiere e la spartana batteria. Già il loro semplice muoversi attorno con cavi e nastro adesivo faceva urlare di piacere i più euforici, e quando la musica "di riscaldamento" (per la cronaca: Room on fire) è sfumata la frenesia era incontenibile. Da un pezzo non sentivo un'aria così elettrica.
Il mio modesto parere è che farebbero bene a registrare solo dischi dal vivo. L'ultimo Fake French ha alti e bassi, pezzi che tirano e altri meno. Il loro concerto invece ha spaccato senza tregua, ha creato una voragine e io temevo per i vecchi muri e il pavimento del Covo.
Ero seduto accanto al banco del dj, nell'unico posto libero, arrampicato sopra le vecchie casse, e ho chiesto due volte se per caso erano accese: perché durante il concerto degli El Guapo vibrava ogni cosa, a partire dal fondo schiena su per la spina dorsale, fino alla testa che ondeggava, fino alla punta delle dita che stringevano il bicchiere.
Non avevo mai sentito un suono così pulito in questo locale. Il giovane tecnico (di cui ho dimenticato il nome, perdonami) mi ha spiegato che quando il locale è così impacchettato di gente la musica esce "dritta" e meglio e insomma, in qualche modo siamo noi che assorbiamo e facciamo funzionare tutto. Fantastico.
Tra parentesi: sarebbe poi interessante capire perché un pubblico tradizionalmente rock, o addirittura "punk" (in un senso molto ampio), abbia voglia e bisogno di saltare e gridare e alzare le braccia su questi ritmi praticamente da bignamino house.
Ma poco importa: con le mazzate impressionanti del loro beat, con i loro cori sfasati, con le loro melodie sghembe di tre note, gli El Guapo hanno dimostrato una potenza di fuoco e un'abilità nel far divertire che ha steso tutti.
La tappa domenicale aveva un quoziente di difficoltà superiore, anche se poi il premio si sarebbe rivelato all'altezza. Infatti, almeno per i ragazzi che venivano da Bologna, il circolo Arci Aquaragia di Mirandola (MO) non era proprio dietro l'angolo. C'è da aggiungere che la trasferta si è compiuta a orario insolito, dato che la timetable dei concerti partiva alle sedici in punto.
Prime a salire sul palco le irresistibili Black Candy, con una serrata esibizione incredibilmente di mezz'ora, e con il dono di un paio di pezzi nuovi. Vistosi i passi avanti compiuti del trio modenese: si intuisce che l'imminente registrazione del debut album Candinista ha galvanizzato Mara e soci, e al grido di "da oggi non ci chiamiamo più Black Candy, da oggi siamo le Death of The Death Of Anna Karina!!" ci hanno proiettato verso Olympia ancora una volta.
Anche il professionale Compagnoni ha ammesso che le potenzialità per un paio di hit a 7 pollici indie al 100% ci sono tutte. Li attenderemo all'Atlantide il 21 dicembre, si spera con il nuovo cd molto do it yourself.
Mi perdoneranno i Fourire ma durante la loro esibizione sono stato distratto al bar: ritrovare le facce note della scena insolitamente la domenica pomeriggio ("come quando si andava in discoteca da ragazzini!" anche se io non l'ho mai fatto) faceva proprio piacere, e discutere con DJ Amarezza delle loro nuove canzoni o di come a questo clima novembrino si adatti di più la birra pastorizzata (purtroppo Mr. Gandolfi non era ancora arrivato) non sono cose da tutti i giorni. Il loro concerto ha comunque dimostrato la ricchezza delle fonti musicali a cui si ispirano, nonché la sicurezza con cui le mettono in gioco.
Gli Sprinzi arrivano da Pesaro e fino all'ultimo hanno temuto di dover suonare senza la presenza di Gecco in prima fila: ma il nostro uomo è comparso appena in tempo, provvidenzialmente accompagnato dalla signorina Goo e dalla signorina Storie, e con la maglietta uguale a quella del cantante.
Il live degli Sprinzi parte piano, si dilata in arpeggi indolenti, la voce sembra assonnata, poi improvvisamente tutto si muove, quasi si balla, ed è l'indie rock che piace a noi. Vogliamo questo, ancora: la prima volta che ascolti i Pavement, la primavera, le canzoni da imparare a memoria, i titoli scritti a pennarello, i pomeriggi dove non ti annoi mai. Ecco: gli Sprinzi erano perfetti per questo pomeriggio, per la luce pallida della Bassa fuori dall'Aquaragia, per perdersi in macchina e arrivare fino a qui e stare assieme ad ascoltare un po' di concerti.
Voglio i loro dischi, le loro magliette e il poster bellissimo che hanno fatto per questo tour con J Mascis.
Per un profano come me, i norvegesi Kid Commando ci hanno fatto un po' la figura degli imbucati alla festa, e poi erano rumorosissimi, non ero proprio in vena di ascoltarli. Sicuramente sarà stata la cosa migliore della giornata e io me la sono persa perché ero a banco a parlare con dei blogger (a parte Valido, che è una blogstar) o peggio ancora con dei giornalisti musicali, figuratevi. Come al solito li scoprirò l'anno prossimo (probabilmente grazie a Lucio).
E poi, quando ormai era già buio, ecco comparire l'IngegnIere all'orizzonte (ormai non ci speravo più) e nello stesso momento J Mascis (che aveva dato un'occhiata a tutti i concerti ed era rimasto ad ascoltare tutti quelli che gli rivolgevano la parola) torna in camerino a prendere le chitarre.
Ci fiondiamo immediatamente sotto il palco (per modo di dire) ed è una cosa meravigliosa perché ci conosciamo tutti e stiamo così stretti che c'è spazio appena per tenere in mano un'altra birretta e poi J Mascis si siede davanti a noi e comincia a suonare.
Non so se siete cresciuti anche voi cantando The Wagon o Out there con le braccia fuori dalla macchina e avevate la patente da poco (adesso l'avete già rinnovata da un pezzo) ed era estate e quella voce rauca sopra quel muro di rumore vi graffiava il cuore.
Forse non c'era molto da cantare, diranno gli scettici, e forse non sta bene mettere tanto in piazza i propri sentimenti. Ma se in fondo non siete dei sentimentali non so come abbiate potuto mai apprezzare un concerto di J Mascis. Quell'uomo dai lunghi capelli ormai bianchi, gli occhiali spessi e la camicia di jeans regala al mondo la sua musica da ormai vent'anni: più o meno trascurato da tutti, trattato con garbo da tutti, rispettato come una "figura di culto" (così scrive la All Music Guide), ma di un culto che, mi pare abbia meno praticanti di quanti si dichiarino fedeli.
Dj Amarezza seduto sul palco accanto alle casse che canta (come tutti noi) What else is new a occhi chiusi, le gambe che non stanno ferme su Freakscene, i ricordi dei nastroni quando parte Everybody lets me down, l'immancabile cover di Just like heaven, gli assoli di chitarra interminabili (credo che Mascis sia l'unico capace di farmi ascoltare così tanti assoli tutti in una volta) non sono cose che si spiegano. Ti stringono un nodo alla gola, balli, gioisci, sorridi ebete a chi ti sta intorno, non puoi fare altro.
Finisce il concerto, siamo esausti. Ti fermi soltanto a ringraziare i ragazzi della Fooltribe perché hanno saputo organizzare un'altro avento memorabile e poi ti rimetti subito in macchina, che c'è strada da fare. Se guardi bene, nel cruscotto trovi ancora quella cassetta che ha più di dieci anni.
Quando ti senti come una C60 mangiata dall'autoradio, e tutto il tuo nastro è sfilacciato sul bordo della strada, ecco presentarsi due giorni in fondo a una settimana con un paio di concerti che sul calendario avevi scritto solo a matita, tanto ormai sei rassegnato a non dare più nulla per certo.
E all'improvviso tutto torna a girare per il verso giusto.
Ok, non proprio tutto. Anzi, quasi nulla è cambiato: ma solo 48 ore prima non ti saresti mai immaginato di guidare verso Bologna la domenica sera con quel sorriso sulla faccia, così stanco e così contento.
Il sabato del Covo si può riassumere in due parole: sold out. Portoni chiusi già poco dopo le dieci e mezza, svariate decine di persone rimaste fuori, Jack Daniel's prosciugato.
Non potete figurarvi la mia soddisfazione nell'assistere al concerto dei Three In One Gentleman Suit, ritrovarli proustianamente l'altra sera nello storico locale di Viale Zagabria, davanti a un pubblico caldissimo, quei ragazzini che nemmeno dieci anni fa provavano per ore Soundgarden e Pearl Jam nel garage di fronte a casa mia, tutte le notti, mentre io cercavo di studiare. L'altra sera hanno retto benissimo (sì, tra un pezzo e l'altro Paolo non sapeva bene che dire, ma régaz, erano sul palco del Covo, la timidezza ci sta).
Il loro set si è avventurato in territori che da tempo né i Karate né i Mogwai mi invogliano più a esplorare, e mi ha trascinato con sé. E con piacere posso dire che l'entusiasmo della band della Bassa è decisamente riuscito a farsi apprezzare dal folto pubblico.
Il loro primo demo Battlefields in an autumn scenario è stato appena rimasterizzato con la supervisione di Massimo Mosca dei Three Second Kiss e pubblicato dalla Fooltribe Records. Adattissimo alla stagione.
In un clima sempre più isterico, finalmente sono saliti gli El Guapo a montare le tastiere e la spartana batteria. Già il loro semplice muoversi attorno con cavi e nastro adesivo faceva urlare di piacere i più euforici, e quando la musica "di riscaldamento" (per la cronaca: Room on fire) è sfumata la frenesia era incontenibile. Da un pezzo non sentivo un'aria così elettrica.
Il mio modesto parere è che farebbero bene a registrare solo dischi dal vivo. L'ultimo Fake French ha alti e bassi, pezzi che tirano e altri meno. Il loro concerto invece ha spaccato senza tregua, ha creato una voragine e io temevo per i vecchi muri e il pavimento del Covo.
Ero seduto accanto al banco del dj, nell'unico posto libero, arrampicato sopra le vecchie casse, e ho chiesto due volte se per caso erano accese: perché durante il concerto degli El Guapo vibrava ogni cosa, a partire dal fondo schiena su per la spina dorsale, fino alla testa che ondeggava, fino alla punta delle dita che stringevano il bicchiere.
Non avevo mai sentito un suono così pulito in questo locale. Il giovane tecnico (di cui ho dimenticato il nome, perdonami) mi ha spiegato che quando il locale è così impacchettato di gente la musica esce "dritta" e meglio e insomma, in qualche modo siamo noi che assorbiamo e facciamo funzionare tutto. Fantastico.
Tra parentesi: sarebbe poi interessante capire perché un pubblico tradizionalmente rock, o addirittura "punk" (in un senso molto ampio), abbia voglia e bisogno di saltare e gridare e alzare le braccia su questi ritmi praticamente da bignamino house.
Ma poco importa: con le mazzate impressionanti del loro beat, con i loro cori sfasati, con le loro melodie sghembe di tre note, gli El Guapo hanno dimostrato una potenza di fuoco e un'abilità nel far divertire che ha steso tutti.
La tappa domenicale aveva un quoziente di difficoltà superiore, anche se poi il premio si sarebbe rivelato all'altezza. Infatti, almeno per i ragazzi che venivano da Bologna, il circolo Arci Aquaragia di Mirandola (MO) non era proprio dietro l'angolo. C'è da aggiungere che la trasferta si è compiuta a orario insolito, dato che la timetable dei concerti partiva alle sedici in punto.
Prime a salire sul palco le irresistibili Black Candy, con una serrata esibizione incredibilmente di mezz'ora, e con il dono di un paio di pezzi nuovi. Vistosi i passi avanti compiuti del trio modenese: si intuisce che l'imminente registrazione del debut album Candinista ha galvanizzato Mara e soci, e al grido di "da oggi non ci chiamiamo più Black Candy, da oggi siamo le Death of The Death Of Anna Karina!!" ci hanno proiettato verso Olympia ancora una volta.
Anche il professionale Compagnoni ha ammesso che le potenzialità per un paio di hit a 7 pollici indie al 100% ci sono tutte. Li attenderemo all'Atlantide il 21 dicembre, si spera con il nuovo cd molto do it yourself.
Mi perdoneranno i Fourire ma durante la loro esibizione sono stato distratto al bar: ritrovare le facce note della scena insolitamente la domenica pomeriggio ("come quando si andava in discoteca da ragazzini!" anche se io non l'ho mai fatto) faceva proprio piacere, e discutere con DJ Amarezza delle loro nuove canzoni o di come a questo clima novembrino si adatti di più la birra pastorizzata (purtroppo Mr. Gandolfi non era ancora arrivato) non sono cose da tutti i giorni. Il loro concerto ha comunque dimostrato la ricchezza delle fonti musicali a cui si ispirano, nonché la sicurezza con cui le mettono in gioco.
Gli Sprinzi arrivano da Pesaro e fino all'ultimo hanno temuto di dover suonare senza la presenza di Gecco in prima fila: ma il nostro uomo è comparso appena in tempo, provvidenzialmente accompagnato dalla signorina Goo e dalla signorina Storie, e con la maglietta uguale a quella del cantante.
Il live degli Sprinzi parte piano, si dilata in arpeggi indolenti, la voce sembra assonnata, poi improvvisamente tutto si muove, quasi si balla, ed è l'indie rock che piace a noi. Vogliamo questo, ancora: la prima volta che ascolti i Pavement, la primavera, le canzoni da imparare a memoria, i titoli scritti a pennarello, i pomeriggi dove non ti annoi mai. Ecco: gli Sprinzi erano perfetti per questo pomeriggio, per la luce pallida della Bassa fuori dall'Aquaragia, per perdersi in macchina e arrivare fino a qui e stare assieme ad ascoltare un po' di concerti.
Voglio i loro dischi, le loro magliette e il poster bellissimo che hanno fatto per questo tour con J Mascis.
Per un profano come me, i norvegesi Kid Commando ci hanno fatto un po' la figura degli imbucati alla festa, e poi erano rumorosissimi, non ero proprio in vena di ascoltarli. Sicuramente sarà stata la cosa migliore della giornata e io me la sono persa perché ero a banco a parlare con dei blogger (a parte Valido, che è una blogstar) o peggio ancora con dei giornalisti musicali, figuratevi. Come al solito li scoprirò l'anno prossimo (probabilmente grazie a Lucio).
E poi, quando ormai era già buio, ecco comparire l'IngegnIere all'orizzonte (ormai non ci speravo più) e nello stesso momento J Mascis (che aveva dato un'occhiata a tutti i concerti ed era rimasto ad ascoltare tutti quelli che gli rivolgevano la parola) torna in camerino a prendere le chitarre.
Ci fiondiamo immediatamente sotto il palco (per modo di dire) ed è una cosa meravigliosa perché ci conosciamo tutti e stiamo così stretti che c'è spazio appena per tenere in mano un'altra birretta e poi J Mascis si siede davanti a noi e comincia a suonare.
Non so se siete cresciuti anche voi cantando The Wagon o Out there con le braccia fuori dalla macchina e avevate la patente da poco (adesso l'avete già rinnovata da un pezzo) ed era estate e quella voce rauca sopra quel muro di rumore vi graffiava il cuore.
Forse non c'era molto da cantare, diranno gli scettici, e forse non sta bene mettere tanto in piazza i propri sentimenti. Ma se in fondo non siete dei sentimentali non so come abbiate potuto mai apprezzare un concerto di J Mascis. Quell'uomo dai lunghi capelli ormai bianchi, gli occhiali spessi e la camicia di jeans regala al mondo la sua musica da ormai vent'anni: più o meno trascurato da tutti, trattato con garbo da tutti, rispettato come una "figura di culto" (così scrive la All Music Guide), ma di un culto che, mi pare abbia meno praticanti di quanti si dichiarino fedeli.
Dj Amarezza seduto sul palco accanto alle casse che canta (come tutti noi) What else is new a occhi chiusi, le gambe che non stanno ferme su Freakscene, i ricordi dei nastroni quando parte Everybody lets me down, l'immancabile cover di Just like heaven, gli assoli di chitarra interminabili (credo che Mascis sia l'unico capace di farmi ascoltare così tanti assoli tutti in una volta) non sono cose che si spiegano. Ti stringono un nodo alla gola, balli, gioisci, sorridi ebete a chi ti sta intorno, non puoi fare altro.
Finisce il concerto, siamo esausti. Ti fermi soltanto a ringraziare i ragazzi della Fooltribe perché hanno saputo organizzare un'altro avento memorabile e poi ti rimetti subito in macchina, che c'è strada da fare. Se guardi bene, nel cruscotto trovi ancora quella cassetta che ha più di dieci anni.
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