Velvet Twilight



Le trasferte a Sant'Aquilina vanno piu' o meno sempre allo stessa maniera. Macchina quasi murata di eminenze grigie e musicali e graziose accompagnatrici anch'esse musicali. Ebi che guida. Euforia generale in cui tutti urlano assieme fino al casello. Risalita capillare di discorsi fino a Castel San Pietro Terme e poi il vociare scema in maniera pressocche' definitiva. Almeno fino al successivo rifornimento vodka al supermarket dell'autogrill. A quell'ora, solitamente, io guardo fuori la teoria di fabbriche romagnole. Il prosaico distretto della ceramica e i nitidi profili di quello della calzatura. Ceramiche LaFaenza prima e stabilimento Vicini poi, per intenderci. Ad ogni modo, dall'autostrada e' bello vedere la piccola e media industria spenta da Imola a San Mauro Pascoli, il contrario mi fa star male.



Andiamo tutti al concerto dei Twilight Singers, e al Velvet ci sono talmente tutti che alla fine non dispiace nemmeno troppo aver saltato la puntata in radio, che a Bologna non ci sarebbe stato nessuno e tanto ci ascolta solo Lucio.

Andiamo tutti al concerto dei Twilight Singers, che, attenzione, non fanno la spalla, bensi' un set. E' chiaro che noi siamo troppo snob per venire a vedere gli Afterhours, anche se al ritorno abbiamo cantato "Non e' niente, Non e' per sempre" come fossimo in corriera, e la nera sagoma di Agnelli l'abbiamo pure intravista, una delle innumerevoli vittime di quella patologia meglio conosciuta come sindrome di Donahue (i.e. vorrei essere un elfo e camminare sulla superficie della neve), mentre aspettavamo che il Sig. Unhip facesse ritorno dalla sua colazione di lavoro con Gregorio Dulli (che pare sia andata bene. E anche questa, come si usa dire, e' fatta).



Il concerto di Gregorio e dei suoi e' stato bello, e in piu', a detta di Flavia e' stato bello che sia stato prima di quello degli Agnelli. Cosi' alle due eravamo a casa, con due ore in meno di materiale inedito nel cervello e birre in pancia.

Il mio rapporto con Greg Dulli e' un po' tipo quello di Don Abbondio con Carneade (anche sineddoche del mio rapporto con la musica e poi li' ossimoro): ciondolando dal seggiolone accade che mi diverto oppure no senza esserne del tutto conscia. In particolare ieri e' stato divertente, molto, quasi straordinario.

Anche senza sfogliare le enciclopedie on line (sbaglio l'inglese) si capiva di avere davanti agli occhi e dentro le orecchie un capitolo di storia del rock. Quello di un altro tempo (lavoro di braccia, etica), un'epoca classica dove non contava troppo come sembravi ma quello che facevi.

La voce di Dulli, il suo spingersi e protendersi, era di una forza nuda, superiore a tutte le chitarre e anche a quel batterista stravolto. Veniva da chiedersi cosa volesse dire tutta quell'energia che non aveva ombre, come il suo sorriso rock mentre appoggiava la sigaretta all'asta del microfono e partiva di nuovo. Per un attimo, quando i fari bassi insistevano a puntare sul pubblico, ho pensato che la risposta nella musica fosse "cosi' e' come dovrebbe sempre essere".



E poi e' stato divertente anche per altri motivi piu' leggeri. Specie constatare come, inevitabilmente, la maggior parte degli artisti non riesca a risolversi del fatto che Hey ya! l'ha scritta un altro e non loro.

Questo, tra l'altro, puo' esser preso come una possibile chiave per spiegare in maniera semplice e definitiva l'amarezza generale che ha regnato nella produzione musicale del 2003.

In ogni campo, si sa, ci sono state grandi delusioni.

Noi ballavamo e ci guardavamo ridendo molto, fino alla fine.

Al ritorno abbiamo tutti dormito, anche se qualcuno ha cercato di intrecciare parole in liberta' per tener sveglio Mann Otto alla guida. Ma deve essere stato per colpa dei Low, o erano Damon & Naomi?

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