L'angolo della posta di polaroid
> ...che mi dici delle 7 (sette) pagine
> che Rumore ha dedicato a Morrissey?
Gentile Lettore,
non so se sarai d'accordo con me, ma questa volta pare proprio che la redazione del mensile di Pavia abbia tenuto le orecchie ben aperte. Il ritorno del cantante degli Smiths (la voce di una generazione?) sembra una cosa oggettivamente buona in un momento in cui dalla musica abbiamo poche certezze, molto cinismo e raramente bellezza. E tutto troppo, troppo in fretta.
L'accoglienza per il nuovo disco di Morrissey sembra andare al di là del lavoro degli uffici stampa (vedi invece le copertine di Rumore e Blow Up questo mese, oltre sicuramente a qualche Mucchio in queste settimane). Dai più attenti blog americani alle webzine inglesi più di nicchia se ne parla da mesi. Giusto quindi che un mensile musicale italiano con la storia e la sensibilità di Rumore riflettesse quanto stava succedendo.
L'intervista tradotta da Radio QROC di Los Angeles è simpatica ("sono sempre, sfortunatamente, me stesso": ma quanto è di morrisseyano!), e l'articolo di Rossano Lo Mele è adeguatamente analitico, tra citazioni di Tondelli e discografie inesauribili.
Poi c'è un racconto di Francesco Bianconi, voce dei Baustelle, intitolato 1988, così personale che in qualche momento della nostra vita avremmo potuto scriverlo tutti noi (magari limando un po' sulla lingua). E infine c'è una pagina occupata da parole di Simone Lenzi, cantante dei Virginiana Miller. Non conosco le sue canzoni ma da come scrive non ho molta voglia di farlo presto.
Insomma, c'era bisogno di dare spazio a qualcosa di estremamente sentimentale e la recensione dell'album scritta da De Luca lo spiega bene. Rimane però un interrogativo: se questo è sempre lo stesso Morrissey, cosa c'è di diverso che rende questo disco tanto atteso?
Forse la nostra nostalgia per un tempo in cui passavamo pomeriggi interi stesi sul letto a imparare le parole delle canzoni e avevamo soltanto quelle?
> ...che mi dici delle 7 (sette) pagine
> che Rumore ha dedicato a Morrissey?
Gentile Lettore,
non so se sarai d'accordo con me, ma questa volta pare proprio che la redazione del mensile di Pavia abbia tenuto le orecchie ben aperte. Il ritorno del cantante degli Smiths (la voce di una generazione?) sembra una cosa oggettivamente buona in un momento in cui dalla musica abbiamo poche certezze, molto cinismo e raramente bellezza. E tutto troppo, troppo in fretta.
L'accoglienza per il nuovo disco di Morrissey sembra andare al di là del lavoro degli uffici stampa (vedi invece le copertine di Rumore e Blow Up questo mese, oltre sicuramente a qualche Mucchio in queste settimane). Dai più attenti blog americani alle webzine inglesi più di nicchia se ne parla da mesi. Giusto quindi che un mensile musicale italiano con la storia e la sensibilità di Rumore riflettesse quanto stava succedendo.
L'intervista tradotta da Radio QROC di Los Angeles è simpatica ("sono sempre, sfortunatamente, me stesso": ma quanto è di morrisseyano!), e l'articolo di Rossano Lo Mele è adeguatamente analitico, tra citazioni di Tondelli e discografie inesauribili.
Poi c'è un racconto di Francesco Bianconi, voce dei Baustelle, intitolato 1988, così personale che in qualche momento della nostra vita avremmo potuto scriverlo tutti noi (magari limando un po' sulla lingua). E infine c'è una pagina occupata da parole di Simone Lenzi, cantante dei Virginiana Miller. Non conosco le sue canzoni ma da come scrive non ho molta voglia di farlo presto.
Insomma, c'era bisogno di dare spazio a qualcosa di estremamente sentimentale e la recensione dell'album scritta da De Luca lo spiega bene. Rimane però un interrogativo: se questo è sempre lo stesso Morrissey, cosa c'è di diverso che rende questo disco tanto atteso?
Forse la nostra nostalgia per un tempo in cui passavamo pomeriggi interi stesi sul letto a imparare le parole delle canzoni e avevamo soltanto quelle?
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