Don't go to sleep with her in your head

Il Rosemount Hotel è un pub in capo a un mondo in cui diluvia di brutto tipo Blade runner. Ma questa non è una novità, è quattro mesi che vedo concerti in pub dove la gente si ammazza di birra giocando a biliardo. Ed è due mesi che piove. Ma ho imparato la lezione, la birra mi fa male e ordinare un rum impressiona sempre molto e se il concerto è una vera schifezza gioco anche a biliardo. Ieri sera come spesso accade ero impanterita, un po' perché cazzo, piove sempre, un po' perché parlare in australiano con la musica a paletta è abbastanza discouraging, un po' perché, lo sapete, io sono sempre impanterita. Comunque, anche con il sole. Anche in italiano. E questa non è una novità. Ieri sera suonava un gruppo di Perth, The Panics, caldamente consigliati da Jennifer, la Regina della scena, un ragazza molto entusiasta che si è guadagnata la reputazione facendosi amica la mamma di Mark Monnone (bassista dei Lucksmiths), un paio di ragazze che contano nella scena di New York specialmente quando stanno a Perth, e che riconosci subito perché indossano maglie sciallate di lamé, pantaloni tipo capri e tacchi a stiletto, anche in Australia, anche se piove, e la Fotografa Ufficiale della Band che ha una Nikon con venti obiettivi, la frangia e le ciglia lunghe è bella e veste Northern Soul. No non sto generalizzando, solo descrivendo. In tutto questo io presumibilmente sono la ragazza confusa con la felpa grigia e le Camper che non parla una parola di inglese e pare abbia un programma alla radio nel suo paese. Io dei The Panics non sapevo nulla a parte che non potevo assolutamente perdermeli e gli mp3 che ci sono sul sito. E così sono finita al Rosemunt Hotel di sabato e ho sentito i Kill devil hills. Che non è una novità perché è il primo gruppo che ho visto quando sono arrivata e da allora mi è impossibile evitarli perchè aprono per tutti i gruppi, tranne a in The Pines che c'erano gruppi talmente famosi che i Kill devil hills erano headliner e lì li ho persi perché me ne sono andata prima.
Ad ogni modo ieri era un sabato uguale a tutti gli altri. E poi i The panics, che sono cinque, sono saliti sul palco e io ho pensato oh my god, questi ragazzi hanno bisogno di un paio di jeans. E questa alla fine era una novità perché di solito penso che la band manchi di talento e non di jeans. Un pensiero del genere mi era venuto anche con i Moonbabies a Stoccolma, ma poi loro mancavano anche di talento e allora tanto valeva risparmiare sui jeans.
I The panics, invece, un paio di jeans decenti, che almeno arrivino a coprir loro lo stivaletto, dovrebbero comprarli. Perché per il resto, sono dannatamente bravi (damn good! Ho detto alla Jennifer). Era un secolo che non vedevo un concerto così. Il locale era murato e il suono era talmente saturo e caldo da sembrare solido e le voci per contro erano nitide e dirette e quando hanno fatto In your head che era l'unica che potevo cantare mi è venuta un assurda pelle d'oca e un nodo in gola e infatti le prime file piangevano disperatamente. Il che mi è sembrato un po' esagerato, anche se capivo cosa volevano dire. Forse, mi sono detta, la metà delle donne ha avuto una storia con qualcuno della band. E in quel caso vedendoli sul palco suonare a quel modo avrei pensato anche io con nostalgia e rammarico, cazzo, chi lo sapeva che stavo con una rock star. Durante il pezzo con cui hanno chiuso, uno strumentale lunghissimo e lacerante e psichedelico tipo i Calexico che suonano Nick Drake, ero talmente emozionata che la Jennifer si è sentita in dovere di abbracciarmi.

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