Il battito di ciglia di un elefante a Oakland
è un tornado a Bologna
Di solito dimentichi. O pensi che non hai tempo. E così è quasi sempre il tempo che trova te. E quasi sempre è il momento giusto.
Mi avevano detto "oh, ascolta assolutamente il disco di Why?" almeno sei mesi fa, devo darne atto alla balotta Riotmaker e a Monsieur Loser. Puntuale, io avevo scaricato e messo da parte, smemorato e sordo che non sono altro.
Così, quando qualche settimana fa, insieme ai primi fiocchi di neve e alle prime luci natalizie, Elephant Eyelash era finalmente entrato fra i miei ascolti, non sapevo se darmi dello sciocco perché avevo perso tanto tempo, oppure se ritenermi fortunato ad avere quelle canzoni tutte nuove e tutte per me nei giorni frenetici dell'Avvento, delle chiusure d'uffici, delle spese fatte di corsa, degli autobus affollati, dell'aria satura di micropolveri congelate.
Io mi rintanavo dentro le cuffie, cercando di convincermi che il resto fuori riguardasse soltanto gli altri. Il freddo, i conti alla rovescia, le stupide abbreviazioni dei messaggi sui cellulari.
Sì, insomma, ero un po' da solo, e le canzoni di questo disco, tese e a loro modo combattive, grondanti versi che mi giungevano a strappi, erano il perfetto modello in scala musica e parole di come mi sentivo.
"Rain is millions of tiny speech bubbles unused": da questo punto di vista Speech Bubbles è formidabile per come riesce a essere, allo stesso tempo, manifesto di poetica e racconto.
Per concludere, mi unisco al coro di "Elephant Eyelash è il disco più pavementiano che si sia sentito quest'anno": la strepitosa Gemini oppure Act Five suonano infatti quasi un tributo (mentre pezzi come Yo Yo Bye Bye o Rubber Traits potrebbero incuriosire addirittura i nostri Yuppie Flu), ma Yoni Wolf non si ferma lì, e mette a frutto la sua formazione hip hop nell'uso misurato della voce, e soprattutto nell'utilizzo di fonti sonore eterogenee per la costruzione delle canzoni.
Un grande disco davvero. Mi sono dovuto imporre a forza di non ascoltarlo nei giorni di Natale per non buttarmi troppo giù.
è un tornado a Bologna
Di solito dimentichi. O pensi che non hai tempo. E così è quasi sempre il tempo che trova te. E quasi sempre è il momento giusto.
Mi avevano detto "oh, ascolta assolutamente il disco di Why?" almeno sei mesi fa, devo darne atto alla balotta Riotmaker e a Monsieur Loser. Puntuale, io avevo scaricato e messo da parte, smemorato e sordo che non sono altro.
Così, quando qualche settimana fa, insieme ai primi fiocchi di neve e alle prime luci natalizie, Elephant Eyelash era finalmente entrato fra i miei ascolti, non sapevo se darmi dello sciocco perché avevo perso tanto tempo, oppure se ritenermi fortunato ad avere quelle canzoni tutte nuove e tutte per me nei giorni frenetici dell'Avvento, delle chiusure d'uffici, delle spese fatte di corsa, degli autobus affollati, dell'aria satura di micropolveri congelate.
Io mi rintanavo dentro le cuffie, cercando di convincermi che il resto fuori riguardasse soltanto gli altri. Il freddo, i conti alla rovescia, le stupide abbreviazioni dei messaggi sui cellulari.
Sì, insomma, ero un po' da solo, e le canzoni di questo disco, tese e a loro modo combattive, grondanti versi che mi giungevano a strappi, erano il perfetto modello in scala musica e parole di come mi sentivo.
"Rain is millions of tiny speech bubbles unused": da questo punto di vista Speech Bubbles è formidabile per come riesce a essere, allo stesso tempo, manifesto di poetica e racconto.
Per concludere, mi unisco al coro di "Elephant Eyelash è il disco più pavementiano che si sia sentito quest'anno": la strepitosa Gemini oppure Act Five suonano infatti quasi un tributo (mentre pezzi come Yo Yo Bye Bye o Rubber Traits potrebbero incuriosire addirittura i nostri Yuppie Flu), ma Yoni Wolf non si ferma lì, e mette a frutto la sua formazione hip hop nell'uso misurato della voce, e soprattutto nell'utilizzo di fonti sonore eterogenee per la costruzione delle canzoni.
Un grande disco davvero. Mi sono dovuto imporre a forza di non ascoltarlo nei giorni di Natale per non buttarmi troppo giù.
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